Cazzeggio in redazione, con in sottofondo un’Inter bloccatissima a Verona, aspettando l’Atalanta a Bologna. Leggo su Facebook il giro dei soliti incazzosi, quelli che “così non va bene per niente, assembramenti a destra, a sinistra e in centro. Finiremo tutti muorti tra un paio d’ore”. C’ero anche io oggi in via Venti ed era bellissimo, pareva di essere tornati a quando stavamo tutti bene. C’erano le lucine, mi è parso di vedere anche sette-otto anziani vestiti di fresco. C’era un uomo in carrozzella, che mi ha sorriso due volte. Ma, più di tutto, c’erano un sacco di ragazzini. A un certo punto ho pure sentito il tempo che passa senza farmi del male, è stato quando tre adolescentine, impettite e in ghingheri, si sono messe a inseguire i miei due figli e Stephan, i tre fighissimi che erano con me. Vini, il mio grande, ma grande gigante, che ormai è alto come me e ha gli occhi neri neri come quando è inverno e c’è la notte e ti accorgi della luna e rimani per una manciata di minuti fermo a ringraziare Dio, ha poi deciso di fermarsi con altri lungoni come lui. Mi ha chiesto il permesso di stare lì coi suoi soci, mi sono immerso nel suo sguardo per almeno un centinaio di metri. Ci guardavamo mentre io tornavo alla macchina, allontanandomi. Era felice come non lo era da un sacco di mesi, da quasi un anno. Anche solo per un giorno, che è qualcosa di piccinissimo rispetto a una vita, ma era a suo agio, nel suo. Finalmente aveva di nuovo la sua età.
Ora io l’ho già detto, ma ci tengo a ricordarlo, ma la mia canzone preferita è Viva la libertà di Lorenzo Jovanotti, che ha gli stessi pensieri da Madre Teresa di Calcutta che ho io quando mi metto a battere sulla tastiera del mio computer. E’ un brano che ha un giro di accordi che fa ridere, Do, Sol, Fa, ma ha cento e passa parole giuste per uno come me, che ha vissuto quarant’anni in quel viaggio, il mio e di un paio di miei amici cari, quello che il posto del nostro cuore è la strada affollata, perché ci protegge come faceva il lampione del nostro cortile quando eravamo bambini. Dice: “Parola magica, mettila in pratica. Senti che bella è, quant’è difficile. E non si ferma mai, non si riposa mai. Ha mille rughe ma è sempre giovane. Ha cicatrici qua, ferite aperte là. Ma se ti tocca lei ti guarirà. Ha labbra morbide, braccia fortissime. E se ti abbraccia ti libererà. Viva la libertà”.
Quindi io la dedico ai lamentosi, gente che non mi piace e non mi è piaciuta mai, perché sono figlio di due lavoratori, Vale e Marco, che mi hanno insegnato che si è artefici del proprio destino e le pippe anche no, sono una perdita di tempo. Oggi in via Venti eravamo liberi e felici, distanziati e con la mascherina. Pienamente nelle regole di Giuseppe Conte. Mi colpisce più di tutto di avere incontrato un covidista estremo, di quelli che fanno i mattacchioni su Facebook, tirando storie all’infinito per obbligarci a non uscire mai. Stava lì, va detto con una mascherina fighissima, da primario del Papa Giovanni, ma, comunque, ad alitarmi addosso. In centro, proprio come me. Per poi menarla. Comunque, che sia un Natale di libertà. La sola cosa importante per me e per la mia gente.
Matteo Bonfanti