di Marco Bonfanti
Il Lecco meritava di vincere e su questo non ci piove, che invece sul resto, e per tutta la giornata, ci ha piovuto incessantemente e abbondantemente. Se non lo ha fatto (per l’appunto vincere) è solo per quel quid di imponderabile che il calcio porta con sé, e che nessuna tattica o tecnica pallonara può del tutto eliminare. Ma che tatticamente il Lecco abbia predisposto questa gara in maniera egregia è un incontrovertibile dato di fatto. Si è visto fin dall’inizio di partita. Le squadre sono entrate in campo. Ebbene gli undici titolari più le riserve della Castellana erano accompagnati da due signori (suppongo allenatore e vice) inelegantemente vestiti con abiti da lavoro (una misera tuta sportiva). Invece il nostro allenatore indossava un maglioncino blu notte e una linda camicia bianca più pantaloni in tinta con il pullover. Qui cominciava l’arguta tattica nostra. Infatti con quel vestito più adatto alla cresima della nipote che ad una partita di calcio, veniva emanato un ben preciso messaggio, cioè quello che il Lecco fosse lì quasi casualmente, più che altro per farci una gita alla ricerca delle bellezze ambientali e storico-sociali offerte dal paese. Paese che peraltro, almeno quel giorno, una visita la meritava pure. Infatti vi era sotto i suoi portici la fiera del libro usato, con un vasto campionario di titoli, fra cui lo scrivente ne coglieva uno assai adatto ad una società calcistica come la nostra che, in un passato ormai lontano, ebbe pure a militare nella massima serie, e che così faceva: “dalla A alla zappa”.
Ma torniamo all’arguta tattica. Ci siamo presentati, all’inizio, come un variegato gruppo di ragazzotti in gita, che poi, giusto per riempire il tempo, avevano accettato di fare una partitella con una compagine locale (“oh, c’è da fare una partita, chi ci sta?” “Io” ” Io” ”Io”, e così si mette insieme una squadretta). Questo piano-immagine era perfettamente riuscito. Loro, convinti di trovarsi di fronte un’accozzaglia dopolavorista si sono lanciati all’attacco. Era la fase uno: lasciarli sfogare come se si trovassero di fronte a dei signor nessuno. Qui è accaduto quel quid di imponderabile che dicevamo: durante la fase sfogatoria la Castellana ha segnato, e questo per me non era stato debitamente messo in conto che potesse accadere.
Comunque sia, e il tutto non sarà durato più di venti minuti, quelli della Castellana si sono sentiti tronfi e ben appagati, e si sono detti, suppongo, che a quel punto bastava controllare quegli undici così male in arnese. E qui ti esce il Lecco in tutto il suo splendore. Da lì in avanti, come dicono i prezzolati cronisti, c’è stata una sola squadra in campo: il Lecco. Giocate buone, giocate ottime, passaggi mirati, ritmo incessante, numeri individuali e di gruppo, attacchi ficcanti e sfiancanti. Però, purtroppo, tutta questa gran mole di lavoro ha sortito solo il gol del pareggio. Loro avevano, per usare metafore lacustri, tirato i remi in barca e non sapevano neanche più che pesci pigliare, noi però nella rete ci abbiamo fatto finire solo un pesante cavedano (o trota o lavarello che dir si voglia). Chiaro che poi, venendo a casa, quelli che come noi girano per la serie D, non erano del tutto soddisfatti. Avevamo mangiato assai bene (ristorante “La Pialla”, buon gusto e prezzo modico), ci eravamo fatti tante risate bagnate, ma ci era mancato il risultato pieno e meritato. E così ci dormo sopra una notte.
Poi stamattina, prima di redigere queste note, leggo le cronache sportive del “Corriere”, e il commento tecnico dell’esperto Sconcerti. A fine articolo ci trovo scritto testualmente così: “…una riga per Verona e Atalanta, giocano benissimo”, e mentre condivido appieno questo giudizio mi dico: certo a me non mi sconcerta, ma chissà se lì, nella redazione del mio giornale, ci sarà mai qualcuno sconcertato…
(nella foto i nostri quattro moschettieri lecchesi in viaggio sui campi della Serie D)