di Marco Bonfanti

Scelti, sabato, la trattoria che ci avrebbe accolti in quel di Legnago ed i cibi che lì avremmo gustosamente consumato, il pezzo, più di colore che di calcio, poteva dirsi, almeno mentalmente, già fatto. Infatti entrambi, trattoria e cibo a venire, offrivano delle suggestioni buone se non ottime per il mio articolo di viaggio nella serie D. Mancava solo un piccolo particolare: che il Lecco vincesse. Piccolo particolare quasi insignificante: il Lecco veniva da due vittorie insindacabili, a parte il fatto che non c’è il due senza il tre, vincere ancora sembrava essere proprio nello stato delle cose. Ma dato che i piccoli particolari fanno la differenza fra l’opera d’arte e la crosta, solo una crosta ci siamo ritrovati fra le mani. Infatti un Lecco molle, svaporato, confuso e ondeggiante ha perso meritatamente, cosicché il pezzo già ideato va, almeno parzialmente mutato.
Ma andiamo con ordine.
La trattoria scelta aveva un nome evocativo: da Pinos. Ora, che mi ha colpito prima di tutto è stato proprio il nome, anche perché era accompagnato dalla premessa e dalla promessa di una tipica cucina veneta, peraltro poi verificata come reale. Pinos, che poi abbiamo scoperto chiamarsi così perché il proprietario con i tanti Pino che c’erano in giro ci ha aggiunto l’iniziale del cognome, aveva un che di spagnoleggiante e sudamericano.
Quindi, a vittoria acquisita, ci stava bene che, dopo una bella mangiata da Pinos, il Lecco aveva fatto ballare il flamenco o il tango del gol al povero Legnago. Poi invece è successo il contrario: a ballare, e tanto, siamo stati quasi esclusivamente noi.
Il secondo spunto era il menù: perché si dà il caso che in Veneto ci sia una pasta particolare che si chiama bigolo. Credo senza nessuna attinenza con quella,  da noi invece bigolo è una parolaccia che indica, per dirla in maniera soave, la testa di birillo. Fare la figura del bigolo vuol dire allora fare una figuraccia, fare la parte di chi vorrebbe ma non può, finge di sapere ma non sa, insomma essere un impedito ed un incapace.
Quindi il piano prevedeva una lauta consumazione di bigoli e poi l’utilizzo della parolaccia per definire i nostri avversari del Legnago.
Il film invece è stato un altro. Come da copione noi ci siamo fatti una bella abbuffata di bigoli, pure in tre versioni diverse: con sugo di fagiano, sugo di germano e sugo di lepre.
Poi doveva avvenire il resto: dopo esserci ben riempiti di bigoli, avremmo (certo non noi ma la nostra squadra) fatto fare agli altri una figura da bigoli. Che invece abbiamo fatto noi, cambiando, di ripresa in ripresa, il copione già immaginato e scritto nella testa.
Domenica non ha funzionato proprio niente nella squadra blu celeste. Pure la metafora autunnale, utilizzata l’ultima volta, ci è andata a ramengo. Infatti il nostro Castagna, quello che dovrebbe farci i gol, non ne ha combinata una giusta.
Se caldarrosta era stata la castagna l’ultima volta con il Pro Sesto, ora era semplicemente bollita, una castagna ballotta, come propriamente si dice con termine preciso.
E visto che oggi uniamo cucina e partita, dobbiamo pure aggiungere che l’altro attaccante, Capogna, si è mangiato un gol già fatto, che forse, ma molto forse, avrebbe potuto cambiare il corso della partita.
E a proposito di Capogna, allo stadio davanti a noi c’era la ragazza esagitata dell’altra volta, che io e Beppe avevamo ipotizzato essere la sua fidanzata. Quando il Capogna ha sbagliato il gol già fatto, io ho urlato: “Bestia, bestia” per vedere la sua reazione e proseguire così nella identificazione della ragazza. Bene, lei si è girata e mi ha fulminato con lo sguardo, quindi è sicuro che tra lei ed il suddetto calciatore vi sia del tenero.
Quindi una certezza l’abbiamo portata a casa. Con il Lecco ondivago di questo campionato, che va su e giù come in altalena, potrebbe sembrare poco, ma non lo è.

(nella foto tratta da wikipedia un piatto di bigoli)