Mi dice, convinto: “Suvvia, non lamentarti. Chi c’è al mondo che è più fortunato di te?”. Mi chiedo, con la faccia a punto di domanda, quella che mi viene nei momenti di forte sconforto: “Gli tiro o non gli tiro una testata?”. Valuto il da farsi con estrema calma ripercorrendo l’incredibile serie di sfighe che mi sono capitate tra capo e collo negli ultimi dieci giorni. Del tragico suicidio per autocombustione fuori dal Pasta & Basta della mia amata Pandona Aranciona a Metano ne ho parlato ampiamente. Faccio un breve riassunto per chi non avesse letto i miei articoli precedenti sul drammatico accaduto. Giovedì 4 luglio, senza il minimo avviso, che ne so una spia all’improvviso, mentre sto andando beato in redazione a trabaccar, la mia bella maghina, in procinto di diventare d’epoca, va a fuoco, decretando, di fatto, la parola fine alla sua temeraria e leggendaria esistenza. Com’è come non è, l’indomani vado a Treviolo a cercare di capire che devo fare per darle una degna sepoltura, la titolare di Zambelli Autodemolizioni guarda al computer dei file segretissimi e mi comunica, va detto con una sensibilità che le fa onore, che l’operazione non si può fare perché la vettura è colpita da mesi da un fermo amministrativo. Ignoro di cosa si tratti, vado all’Aci di Dalmine e scopro che devo all’Agenzia delle Entrate la bellezza di 1506 euri, mica bruscolini, somma che lo Stato mi ha richiesto inviandomi tre Pec in una casella di posta elettronica di cui mi ero scordato l’esistenza. Sto per piagnere, ma riesco a trattenermi cercando nella mia testa immagini belle e spensierate, tipo la mia prima fidanzata biotta su un albero appena finito l’esame di maturità. Pago il mio debito sudando le fatidiche sette camicie, spendendo parte della mia vita in uffici privi di umanità e che ricevono solo su appuntamento. Tralascio di raccontare altre diciassette disgrazie per motivi di spazio, altrimenti questo scritto diventerebbe un libro, concentrandomi sulle mie ultime ventiquattro ore, l’apice della malasuerte che mi ha convinto a disdire la tradizionale vacanza estiva a Cattolica per recarmi il prima possibile a Lourdes, in Francia, con un volo Ryanair. Ieri, più o meno alle 20 e 35 circa, tornando dalla palestra, buco la ruota anteriore dell’auto di mia mamma, la Panda Amaranto, centrando in pieno un muretto che il Comune di Bergamo ha messo di soppiatto nei pressi del rotondone di Monterosso. Provo a gonfiarla col Fast perché non c’è quella di scorta, ma fallisco. Lascio il carro nel tratto finale di Viale Giulio Cesare rimandando al giorno successivo la soluzione del mio nuovo tragicomico caso. Si arriva a oggi: mi alzo nel panico dopo aver sognato la mia ex intenta a tagliarmi il naso con delle grosse forbici da giardiniere. Sono le dieci e cinquantadue, chiamo Frigeni Gomme, una tipa gentilissima mi dice che farà subito partire il tecnico, io, dal canto mio, le assicuro che in una manciata di minuti sarò lì a dargli svariate e precise indicazioni. Bevo il caffè, c’è nuvolo, ma non piove, così scelgo di mettermi le infradito. Esco dal portone e m’incammino. In quel preciso momento, testimone Gaia del Bicerì, si scatena una tempesta tropicale che non ha precedenti nella millenaria storia delle calamità naturali all’ombra delle Orobie. L’affronto, due autisti mi fanno la doccia, ignoro se per precedenti ruggini nei miei confronti, screzi che, comunque, non ricordo di aver avuto con loro. Tengo duro. Completamente lavato, arrivo a una decina di metri dal mezzo materno. C’è da superare il cantiere della Teb, evitando di farmi notare, apro il cancello che delimita l’area dei lavori. Sorrido soddisfatto, sento di avercela fatta, ma è un attimo e cambia tutto, un uomo calvo su un camion mi vede e mi intima di tornare indietro. Mi dice: “Che fai? Ma ti sembra?”. Lo guardo con la faccia da cane bastonato, la nota, ma non mi fa sconti: “Non ci son storie. Devi passare da Monterosso”. Riparto, un chilometro di vento e di pioggia sulla crapa e sono finalmente davanti alla vettura. Prendo le chiavi, entro nell’abitacolo, tre secondi e l’acquazzone cessa di colpo lasciando spazio a un timido sole e a due decisioni, quella di recarmi nella famosa grotta di Massabielle e l’altra, di parlare seriamente, già nel primo pomeriggio, all’anziano canuto che mi reputa un uomo baciato dalla fortuna.
Matteo Bonfanti