Sbucciarmi le ginocchia è una delle due cose che mi fa tornare ogni volta bambino. Era giovedì, era sera, le stelle già pronte per andare a dormire e io giocavo a pallone, come sempre e nel mio solito modo, dalla destra verso il centro, con i piedi così così, ma col fiato a mettermi in pari e pure col cuore a mille all’ora. Più o meno a metà partita sono scivolato e sono caduto sulla meravigliosa erba fresca e umida che c’è solo da noi ai primi di maggio. Mi sono fatto quattro graffi che per un po’ hanno sanguinato come folli, manco fossi sul set di un film di Quentin Tarantino. Ma non sentivo male.
E’ stato lì, in quel secondo, mentre mi rialzavo, che mi hanno chiamato i miei ricordi e io li ho lasciati entrare, estraniandomi in difesa, per farmi di nuovo cullare dal mio passato eccezionale. All’improvviso ero piccolo e c’erano la luna, i lampioni, le scale, la strada, gli amici della via, quelli delle Gescal che stavano lì a un passo. Poi testa, tacco e rovesciata, con i nostri maglioni a far da pali. E mia mamma, Valeria, affacciata sul terrazzo, “Mami, resto da basso”, “sì, ma arriva per mangiare, stai giusto giù un’oretta, poi vieni su…”, “va bene, non ti preoccupare”, “bravo, Matty, ti aspettiamo”. Anche se poi io non tornavo mai. Finivo all’oratorio, che c’erano il campo, la montagna, il lago a un soffio e le ragazze a guardarci mentre ci scartavamo a centrocampo. E alle dieci i miei mi venivano a cercare. E questa cosa mi è restata, ce l’ho ancora addosso, il calcio, il cortile, la parrocchia, i baci all’improvviso, le chiacchiere infinite, i ritardi, quello che è per via che al mondo sono nato e al mondo son tornato sempre vinto dopo una sfida di pallone.
Era venerdì sera, ero a Ghisalba, a presentare il nostro nuovo libro, una cinquantina di storie sulla gente del pallone bergamasco. Non la faccio tanto lunga, parlavo come sempre facendo casino, confondendo chi, come, dove, quando e perché. E’ stato un secondo, ho sentito un leggero fastidio al ginocchio, quello sbucciato. E mi sono fermato a guardare i bellissimi uomini che avevo davanti. Diversi, che sono passati quarant’anni e pure la provincia è un’altra rispetto a quella di allora, ma uguali, le stesse anime di quando ero ragazzo e giocavo in categoria, persone generose e uniche, identiche a quelle che mi hanno fatto diventare grande, forte e controvento. C’era Marco, il padrone di casa, il presidente della Real Calepina, una roba grossa, un club di Serie D, e che di lavoro fa le maglie dei giocatori. Di cognome fa Lorenzi e al calcio chiede tre cose facili e difficilissime, allegria, passione e vicinanza, che lui dà al volo, appena ti vede, perché è uno raro, insomma tra la dozzina in Italia che vive illuminata dal sole. C’erano Luca, Bassani e Pievani, uno a capo dell’Azzano, l’altro della Forza & Costanza, l’altro ancora dell’Aurora Seriate, tre padri a cui ogni tanto rompo i coglioni per sentirmi bene bene a Bergamo e dintorni. C’era Nico, Nicola Radici, per me un fratello. C’erano i diesse, con cui stai a contrattare, ma più di tutto a ridere e a scherzare, parlo di Luzzana, di Dabbene, di Piccinelli e di Pelizzari, quattro super, che ho abbracciato tanto tanto per via del loro cuore infinito, capace che ti regalino un macchinone pur di vederti segnare un gol per la loro società, andando poi dalla Giuliana a fare notte tra mille e passa racconti indimenticabili. C’era Andre, il Guaro, il capitano che avrei voluto accanto a vent’anni, il migliore dentro al rettangolo di gioco, ma pure fuori. C’era Giacomo, il mio maestro, un immenso giornalista, quello che mi ha insegnato che un giocatore non si giudica da un calcio di rigore, ma dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. C’erano Marco, Carmelo, Norman, Simone e Sergio, i miei colleghi, meravigliosi pirati sul nostro vascello che naviga nei fiumi di parole del pallone.
E ognuno di noi aveva almeno un ginocchio sbucciato, che non fa male, è l’appartenenza, la fortuna di far parte di una famiglia unica, la sola che si ha per tutta la vita, quella del calcio.
Matteo Bonfanti
Nella foto a Ghisalba, con lo staff di Lm Promo
Nella foto a Ghisalba, con lo staff di Lm Promo