Vorrei avere parole solo celesti, come il meraviglioso angolo di cielo della mia città che ho visto due ore fa dalla vetrata della redazione. Aveva il sole e le nuvole bianche tutte attorno. E mi accarezzava. Le vorrei per Fabio e per la sua fidanzata, che sono innamorati e che ho incontrato questa notte in una festa a tre passi esatti dal lago che sta a Endine. Dicevano: “Ci sposeremo e vorremmo una tua frase”. E io li guardavo felice, muto, senza parole, grato che mi chiedessero un pezzetto del mio piccolo cuore per il loro immenso amore.
Vorrei avere parole celesti per Ermal, il mio migliore amico, che sa tutto di me anche se non glielo dico. Sono stati giorni di malinconia, di quelli che mi prendono quando finisce l’estate. Era lunedì, era notte, ero in ufficio, navigavo nella pioggia con una piccola barchetta a remi, scrivevo imbarcando acqua e sale da ogni parte, lungo qualsiasi particolare. Due squilli e mi sono fermato a guardare il telefono e c’era un suo messaggio piccino e gigante. Era il mio salvagente trovato in mezzo al mare dei pensieri, per caso e per fortuna, semplicemente perché a volte capita di pescare dal mazzo della vita la preziosa carta del complice, tra le poche che rende facili pure gli ansiosi attimi di disordine. “Bonf, io ci sono… Sbaracchiamo?”, e ieri, martedì e mercoledì sono state le nostre solite notti, allegre, vissute e calpestate, capaci in un sol colpo di mandarmi via la tristezza che mi si era messa in fondo agli occhi.
Vorrei parole celesti per mio figlio Vinicio e per la sua Caterina, quindici anni addosso, adesso nel silenzio, abbracciati stretti stretti sul divano dopo avermi aiutato a spostare un palco al centro sportivo di Azzano. Le vorrei per Meo e per Zeno, che in questi dieci giorni hanno imparato che per essere fratelli non serve lo stesso sangue, ma l’identica anima latina con quella musica che alla loro età gira sempre intorno senza fargli mai del male. Le vorrei per Serena e per ogni persona che in questa settimana si è presa la briga di leggere le mie frasi. Le vorrei per i miei genitori, Marco e Valeria, che mi hanno insegnato che raccontarsi è un dono per gli altri, ma tanto tanto è un regalo quotidiano che si fa a se stessi. “Scrivi, Matti, annota tutto sulla Smemoranda, vedrai che ti piacerà da impazzire e non potrai più farne a meno”, diceva la Vale a inizio settembre, regalandomela per la mia prima superiore, ormai trent’anni fa. E io quella Smemoranda, rosso fuoco e con la scritta a colori, azzurra e in grassetto, davvero non so dove sia finita, ma continuo a mettere su un foglio quello che vivo ogni giorno tra il mio universo e i mille cuori che sento collegati al mio, unici, uguali e miei.
E poi vorrei che le mie parole fossero celesti per te, amore mio, che le leggerai e mi penserai, ora, anche solo per un minuto.
A me basterà.
Matteo Bonfanti
Nella foto io e Ermallo, il mio migliore amico, il mio complice