C’era una volta l’Isola bergamasca, culla di trionfi in serie per le squadre dilettantistiche; oggi nobile decaduta, sotto i morsi della crisi. Tanti, forse troppi, i segnali che denotano l’aggravato malessere di una realtà calcistica che sembra aver imboccato la via del baratro. Basti pensare alla chiusura dei battenti occorsa, in tempi recenti, a Curno, Bonate Sotto e Bottanuco, con l’abbandono di categorie di alto rango e un accentuato ridimensionamento di costi e aspettative. Nemmeno Madone può dirsi immune, nonostante l’allestimento di un chiaro, e apprezzabile, progetto votato alla valorizzazione dei giovani, nel segno delle tematiche affini alla sfera educativa. Caso più unico che raro, la Prezzatese del vulcanico diesse Sergio Tensi si mantiene quale compagine solida e ambiziosa, chiamata anno dopo anno ad alzare la propria asticella, pur in assenza di un settore giovanile di riferimento. Dopo la felice scalata dei campionati, con la ciliegina rappresentata dallo storico approdo in Eccellenza, il Brembate Sopra lancia un serio campanello d’allarme, non dettato solamente dalla disgraziata stagione in corso, ma anche, se non soprattutto, dall’assenza di un futuribile programma: un grande, e appassionato, presidente quale Silvio Berizzi non può permettersi di andare avanti da solo, dinanzi a spese sempre più onerose e un ritorno, in termini di visibilità e attaccamento, condizionato dalla crisi dei botteghini e dallo stato di sofferenza che caratterizza un po’ tutti i Comuni bergamaschi. La Promozione è ormai alle porte, a fianco di una retrocessione che, perlomeno, chiuderebbe l’agonia di un anno intero, quale quello vissuto dai gialloverdi. Quel che è peggio è la percezione, all’interno del mondo dilettantistico, di una generale spossatezza, ormai congenita in una passione, come quella sportiva, che in quanto tale merita di essere vissuta e coltivata fino in fondo, a dispetto degli immancabili e inevitabili sacrifici. Non c’è più entusiasmo, non c’è più dedizione, di quattrini ancora meno, e a finire sul banco dei co-imputati sono anche i tanti ragazzi contemplati dalle attività delle società sportive; spesso tacciati di comportamenti troppo affini agli adulti, specialmente quando di mezzo c’è il rimborso-spese, ma che forse, più semplicemente, non fanno altro che da cartina tornasole. Questo, evidentemente, è il raccolto di quanto seminato negli ultimi tempi. In un quadro tutt’altro che roseo, condito da tanti enigmi e altrettante note di pessimismo, ecco allora elevarsi un grido disperato, che chiama in causa le due società di maggior prestigio, all’interno dell’attuale panorama dilettantistico. Pontisola e MapelloBonate, due campanili, due situazioni di classifica diametralmente opposte, e la stessa inderogabile esigenza di guardarsi attorno, verso la perpetuazione di progetti e storie sportive. Che le due società non navighino in acque così tranquille è dato ormai arcinoto. Il MapelloBonate, reduce dal fallimento della parentesi-Villa, sta forse rivelando proprio ora, con l’avvento di un abilissimo stratega quale mister Robi Crotti, tutti i limiti di una rosa costruita in tempi di ristrettezze. Se Recino non fa più il Recino, e ci può stare considerando il furioso girone di andata vissuto dall’ex attaccante del Giana Erminio, sono guai seri, perché la difesa, prima o poi, qualcosa deve concedere; il centrocampo tutto corsa e temperamento paga gli equivoci tattici suggeriti dalla presenza di una sola mente illuminata, il bravo ma macchinoso Piccinini,  mentre la campagna di mercato invernale è apparsa più in sintonia con gli standard atalantini, con la cessione di due granitiche certezze per la Serie D, quali Nodari e Luzzana, a fronte di innesti dal dubbio valore quale Spiranelli e il giovane, e acerbo, Cassani. A mister Crotti si chiede ora il miracolo, ma non è un caso che le “malignità”, legate alla sopravvivenza del sodalizio gialloblu, si moltiplichino, anziché diminuire, per buona pace dei nervi di giocatori e staff tecnico. L’altra, il Pontisola, come un’avvenente fanciulla ancora illibata, si crogiola nella propria bellezza, pur consapevole che il grande passo non verrà mai compiuto. Un’altra stagione di successi e consensi volge al termine, suffragata dal lancio di un bel pacchetto di giovani classe ’98, su tutti i laterali Alborghetti e Pellegrinelli e un Signorelli già finito nel giro delle nazionali di categoria, eppure anche quest’anno la Lega Pro appare sogno proibito, con la nota di amarezza dettata da quel che poteva essere, e non è stato, a inizio-stagione, con l’approdo soltanto sfiorato del duo Bellani-Falconi, lesto a raccogliere armi e bagagli per tornare in orbita-Grumellese. Insomma, da ambo le parti arrivano indicazioni tali che ci portano a pensare che qualcosa cambierà. La benedetta fusione non è nell’aria, ma gli incontri e gli ammiccamenti si succederanno, ammesso che la logica del buonsenso prevalga su quella del campanile. Quel che è certo è che personalismi e improvvisi “mal di pancia” non sono ammessi, perché l’Isola bergamasca ha realmente bisogno di progetti oculati e non improvvisati, fatti attendere ma proiettati sul lungo termine, in quanto espressione di vera passione, unità di intenti, e di un equilibrato uso di risorse e strutture. Allora sì che la zona racchiusa tra i due fiumi, facendo l’occhiolino alla gloriosa Mesopotamia, tornerà terra fertile; culla di uno sport al passo coi tempi, e dotato di tutti i requisiti in grado di far sognare i tifosi.
Nikolas Semperboni