Per la seconda volta in una settimana ho fatto la spesa a una persona che non conoscevo. Venerdì a un bergamasco sui sessant’anni. Erano le sei di sera, ero fuori dal Carrefour di via Santa Caterina ad aspettare il mio turno. Era disperato, magro come un chiodo, mi ha spiegato che si vergognava a chiedermi, ma in sto casino era rimasto senza lavoro. Allora gli ho comperato una baguette, due etti di prosciutto crudo, un tubo di maionese, che con l’affettato di ci sta da dio, quindi due Tennents, che in tempi come questi servono, fanno passare l’ansia.
Oggi a mezzogiorno a un signore di colore. Ero in coda, mi ha bloccato e ha iniziato a piangere. Mi ha ricordato mio figlio Zeno, quando era piccolo e suo fratello, Vinicio, lo menava, e al mio pistolino partiva il pianto, quello lì, infinito dei popini. Al nero gli ho detto di calmarsi, gli ho dato cinque euro, gli ho detto: “Questi sono per te, poi dimmi cosa ti serve”. Tra le lacrime mi ha fatto il suo elenco, per i suoi bambini, tre litri di latte, quattro panini, uno yogurt grande, una scatola di pizze grosse, di quelle surgelate. Al mio turno ho fatto le due spese, la mia e la sua, gli ho messo dentro una Tennents, sempre per il ragionamento di prima, e gli ho augurato buona fortuna. Avrei voluto anche abbracciarlo, ma non si può e manco è il caso.
Ora, chi mi conosce lo sa, io sono tutt’altro che il buon samaritano del famoso libro. Amo farmi da sempre i cazzi miei, faccio il giornalista sportivo proprio perché sono di quella risma lì, balù e figa, pochissimissimo altro, giusto i miei figli, che mi scappellano, mai un’ora di volontariato, piuttosto le seratine a bere uno spritz dopo l’altro, sparando cazzate con gli amici più cari.
Eppure questa cosa qui, che ci ha messo tutti in pericolo, ovviamente ad eccezione dei ricchi, un po’ mi ha cambiato. Ai primi lutti vicini ho iniziato a cercare di capire perché è capitato proprio a Bergamo, nelle nostre splendide valli, dove ho tanti amici bellissimi, che adesso sono sotto un carro perché hanno perso chi la mamma, chi il babbo, chi entrambi, chi un sacco di parenti. E non sono un mostro sacro del giornalismo, ma sto facendo il mio, come ognuno in questa redazione, perché in questa vicenda bruttissimissima ci ha preso questa cosa bella: fare il nostro perché tutti sappiano gli errori e non se ne facciano più, così da sto casino rampiamo fuori un attimino prima, magari come a Vo’ o a Medicina, senza contare più i morti che i militari portano via dal nostro cimitero.
Ieri sera ho visto Report, l’intera puntata, e pure quello per me è un bel passo avanti, che di solito mi addormento un minuto dopo che accendo la televisione. Faticando, lo ammetto, ma ho seguito la splendida trasmissione di Rai Tre dall’inizio alla fine. Hanno ricostruito quello che noi continuiamo a scrivere da un mese a questa parte: perché qui da noi? Perché è accaduta questa strage? E hanno fatto nomi e cognomi. Adesso io, guardando me, penso che questa tristissima malattia possa pure cambiarci in meglio. E mi vengono in mente quelli che ci hanno condannato al disastro infinito, tra case di riposo sempre aperte, zone rosse mancate, ospedali che sono solo spot elettorali, medici e infermieri morti come soldati al fronte, quello italiano della prima guerra mondiale, senza armi per combattere.
E mi rivolgo a loro, i nostri politici, evitando polemiche inutili, ma con una proposta, quella di versare i loro incredibili stipendi, mensilità che gli paghiamo noi per tutelare la nostra salute, qualcosa che non è successo, almeno non abbastanza.
Adesso che qui e ora al dolore dei lutti e alla frustrazione dell’isolamento si sta aggiungendo anche la miseria, sarebbe un bellissimo gesto, che ci metterebbe lungo la linea del perdono, necessario quando tutto tornerà normale.
E ora mi bevo una Tennents, passando il Vetril.
Matteo Bonfanti