Oggi vi chiederò di fare un doppio esercizio di immedesimazione.
Prima provate ad immedesimarvi in un tifoso come me, dell’Atalanta.
Nato e cresciuto dentro al mio stadio, fatto di gradoni di cemento, a prendere acqua, grandine e sole, ma con negli occhi il sogno.
Andare mano nella mano all’Atalanta con il papà, tra tante retrocessioni e delusioni, ma sempre in un contesto di gioia, orgoglio e sogno.
Sogno.
Una parola chiave che tornerà spesso durante questo esercizio che vi chiedo.
Io ho sempre e soltanto sognato, perché ci era concesso solo di sognare a noi dell’Atalanta, non sperare.
E poi succede, quasi all’improvviso, senza che arrivasse un magnate russo o arabo, che la mia squadra del cuore diventasse la più bella, per certi versi la più forte.
Ritorniamo in Europa dopo una trentina d’anni, e il sogno comincia a materializzarsi.
L’Europa diventa quella che conta, la Champion’s League, e arriviamo agli ottavi di finale, tra palpitazioni, lacrime di gioia, sudore e adrenalina.
La vittoria incredibile di San Siro col Valencia, alla vigilia di una pandemia mondiale che non potevamo immaginarci, additati addirittura come untori inconsapevoli.
Poi la vita di tutti noi va in pausa, e pensiamo a sopravvivere più che a vivere.
Ma il sogno, negli occhi e nel cuore, resta.
Durante un anno sospeso e orribile, la mia Atalanta ci regala momenti di serenità, stupore, orgoglio, bellezza, e ci riporta nella Coppa dei Campioni.
Sogno.
Continuate ad immedesimarvi.
Dopo 40 anni di stadio ininterrotto, arriva Liverpool-Atalanta ad Anfield.
Un sogno.
Ed invece, divano.
Si torna da grande squadra per la seconda volta consecutiva agli ottavi, dopo aver vinto anche ad Amsterdam.
Un sogno, vissuto dal divano.
Real Madrid – Atalanta.
Sogno.
Al di là della ristrutturazione in atto, per chi sogna ad occhi aperti come me, significava trasferta al Santiago Bernabeu.
Invece, divano.
Ma l’Atalanta non molla, e continua a farci sognare.
Finale di Coppa Italia raggiunta, terzi in classifica battendo la Juventus dopo ventanni.
Un sogno.
Poi, come in una notte dai lunghi coltelli, arriva la Super Lega.
Le squadre più titolate (non le più ricche, perché piene di debiti) si offendono per i pochi soldini che gli arrivano, perché non sono sufficienti a tappare il buco che loro hanno creato, per incapacità.
E allora portano via il pallone, dicono che l’hanno portato loro e cambiano campetto.
Dall’oratorio di tutti, si vogliono chiudere nella villa del loro amico, in 12 sperando di diventare almeno 15, per poi invitare solo altri 5 quando e come vorranno.
E noi restiamo, come scemi, qui a sognare.
Ma non potremo sognare Anfield, il Santiago Bernabeu, il Camp Nou.
No no.
Quella è roba solo loro, e dei loro amici altolocati.
Ora provate ad immedesimarvi in tifosi della Ternana, del Bari, della Cremonese, del Catania, della Pro Vercelli, della Triestina.
Hanno visto noi dell’Atalanta, con merito sportivo, abnegazione, progettazione, capacità gestionale, lungimiranza ed attenzione, giocarci quasi la semifinale della Coppa dalle grandi orecchie, perdendo all’ultimo secondo contro il PSG di Neymar nella final eight di Lisbona.
Un sogno.
Un sogno che fino a ieri sarebbe stato possibile anche per loro.
Fermate questo schifo.
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