Non facciamo i sepolcri imbiancati. In questa storia non ci sono buoni e cattivi. Solo la legge del profitto, norma fondamentale del capitalismo: da una parte un gruppo di presidenti (proprietari) voraci che si sono trovati pieni di debiti, causa scelte scellerate, e debilitati da un’emergenza planetaria come la pandemia, dall’altro un altro gruppo di dirigenti dell’istituzioni internazionali, in questo caso l’Uefa che non ha voluto cedere di un millimetro il potere soprattutto finanziario. I presidenti della Superlega, rappresentati nell’Eca da Andrea Agnelli, hanno intavolato discussioni e richieste in merito alla “nuova” Champions League cercando di strappare più soldi e, in modo particolare, entrare nel board della gestione di tutto questo danaro tra diritti tv e sponsor. E’ stato un lungo tiramolla che dura da tempo, quindi adesso non è il caso di scandalizzarsi, purtroppo è l’epilogo più scontato. Ecco, quindi lo scontro. A poche ore della deliberazione dell’Uefa della riforma della Champions, in vigore dal settembre 2024, i fondatori della Superlega hanno bruciato i tempi e hanno ufficializzato la nascita di questo nuovo ente calcistico. Che, oggi, sta sconvolgendo, addirittura, il mondo intero, quasi fosse cominciata la terza guerra mondiale e con la pandemia passata in secondo piano, a mo’ di banale raffreddore, ancorché in Italia i decessi siano sempre altissimi. Ma il calcio è il calcio. Popolare, universale. Anche se quasi tutti i club calcistici in Europa sono stati fondati dalla classe borghese . Poi senza distinzione di classe o di ceto sociale è diventato passione, follia identitaria, amore inconsulto. E dal dopoguerra il giuoco del calcio si è propagato in tutto il pianeta: c’è un campionato nelle Far Oer, c’è un campionato nelle isole Figi, tanto per dire. Si gioca nei cortili, negli oratori, nel deserto, sul ghiaccio, nella savana e sulle piattaforme dei grattacieli di New York e di Hong Kong. Indossando le magliette dei campioni. E questo è il lato romantico. Che muove e alimenta sentimenti, gioie e dolori. Sempre per quel pallone che rotola oltre la linea bianca di una porta, difesa da un solo giocatore, il portiere, che ha una maglietta diversa da tutti gli altri giocatori, nell’uno contro undici. Poi c’è quello economico e qui è un disastro. Non basta più la pecunia dei diritti televisivi, forse nemmeno i fondi. Tanto per citare ecco il livello di indebitamento dei dodici fondatori: 1.510 milioni per il Chelsea di Abramovich, 1.280 il Tottenham che ha appena esonerato Mourinho, 1.173 il Barcellona, poi il Real con 901, l’United 528,6, l’Atletico Madrid 494,2, il Liverpool 272, il City 200 e l’Arsenal 125,4 e anche i club italiani non scherzano con 630,1 per l’Inter, 458,3 della Juventus e 151,8 il Milan. Questo è lo stato dell’arte. I Dodici invece di trovare una soluzione adeguata e ragionata con tutti gli altri club europei, peraltro anch’essi indebitati fino al collo, coinvolgendo le istituzioni del calcio, hanno intrapreso una deleteria scorciatoia col rischio di schiantarsi definitivamente. L’Uefa comunque è fortemente colpevole di non essere riuscita a governare questo deficit. Si è inventata il fair play finanziario ma nessun club lo ha osservato, accettando sceicchi e fondi di incerta provenienza. E qui ci fermiamo. Siamo solo alla prima puntata.
Giacomo Mayer