di Matteo Bonfanti
Tra un casino e l’altro mi sono dimenticato di Trocchia, una delle persone migliori del nostro calcio, un uomo che unisce competenza e passione. E non ce ne sono più così tanti. E’ quasi un mese che ci siamo visti, gliel’ho chiesto io, m’interessava sapere il suo primo anno da allenatore, lontano dall’area avversaria, la seconda casa di re Igor, zingaro del pallone provinciale, oltre trecento reti in vent’anni di carriera. Se ne scrivo solo adesso un po’ è colpa del mercato, che per me è una droghetta, poi c’è anche che i miei due bambini hanno finito scuola e lì ho spesso in redazione. Fanno casino e non mi conciliano con quello che per me è Trocchia, un eterno ragazzo, sorridente, gentile, profondo e complesso. Per scrivere di lui ci vuole silenzio, non si può buttare giù l’articolo come mi capita quattro volte su cinque. Perché Igor è raro: intanto sono sempre stati due, quello già descritto, incontrato lontani dai campi di calcio, e il suo esatto contrario una volta indossata la maglietta numero nove, ovvero il famoso rampino, il centravanti che non molla mai, che strattona lo stopper e lo tira giù, all’occorrenza, se serve ad andare in gol, la sua unica missione.
L’INTERO RITRATTO E LE BELLISSIME PAROLE DI RE IGOR TROCCHIA SUL CALCIO GIOVANILE SUL NUMERO DI BERGAMO & SPORT TRA POCHE ORE IN EDICOLA