A volte non esistono vie di mezzo, nel calcio, tra il bonipertiano “L’unica cosa che conta è vincere, non partecipare” e lo spirito decoubertiniano della bellezza della competizione in sé, quasi che alzare una coppetta ogni tanto sembra poco meno d’un delitto. Lo striscione a strisce nerazzurre di un anonimo tifoso, firmatosi Elmo, propende più per la seconda visione, roba che nemmeno Zdenek Zeman, dedito a una vita professionale di accuse a chi ha vinto in nome del bel gioco proferite da chi non ha mai vinto alcunché nemmeno per scherzo beandosi al contempo della bellezza del proprio prodotto.
“Champions… scudetto… Coppa Italia …Ma va là… I nostri trofei sono il gioco e la mentalità”, si legge sul lungo drappo appeso, come di consuetudine in questi casi, sulla ringhiera a destra della cancellata d’ingresso al Centro Sportivo Bortolotti di Zingonia. Ripreso nelle stories su Instagram del mancino di Zogno classe 2002 Matteo Ruggeri. Incitamento o rassegnazione a far rimanere figlia unica la Coppa Italia vinta il 2 giugno 1963 contro il Torino, a San Siro, alla vigilia della morte di Papa Giovanni XXIII, per la squadra, che si sta allenando con la Primavera perché priva di 12 nazionali e attesa alla volata per la qualificazione Champions lunga 10 giornate?
E la finalissima del 19 maggio proprio contro la Juve, a sua volya figlia delle mentalità del buon vecchio “Marisa” che in combinazione con risorse economiche importanti qualcosina ha sfornato a livello di trofei? Il senso della competizione non è forse superare l’avversario? Alzare l’asticella non significa necessariamente crogiolarsi nella propria unicità di provinciale che aspira agli stessi obiettivi di una big rinunciando a esserlo per una volta.