La Russia si prepara all’ evento dell’anno: giovedì 14 giugno, con la sfida tra la nazionale padrona di casa e l’Arabia Saudita, prenderà ufficialmente il via la 21esima edizione della Coppa del Mondo. La prima a disputarsi all’ombra del Cremlino, grazie all’ assegnazione da parte della FIFA avvenuta nel 2010. La Russia si è guadagnata l’organizzazione della rassegna più prestigiosa, stracciando la foltissima concorrenza di Spagna/Portogallo (candidate congiunte) e soprattutto della grande favorita Inghilterra. Una vetrina straordinaria per l’intera nazione, che per un mese potrà gustarsi la bellezza e la magia dei migliori interpreti palla al piede del pianeta. Sarà un campionato del mondo ricco di novità: la prima, quella più amara, è la mancata qualificazione dell’Italia. Non accadeva dal 1958 che la nazionale azzurra fosse costretta a seguire i mondiali davanti alla TV. Una debacle atroce, dal punto di vista sportivo, economico e di immagine. L’ennesima picconata sul pallone nostrano, ormai giunto ai suoi minimi storici. La grande innovazione, però, sarà l’introduzione della VAR, a supporto dei direttori di gara. Quello della tecnologia applicata al calcio per correggere e chiarire gli episodi più incerti, sarà un attesissimo debutto, dopo le prime sperimentazioni (non senza polemiche) a livello di campionati nazionali. La FIFA ha inoltre dato il via libera ad una quarta sostituzione da poter sfruttare in caso di tempi supplementari. Tantissime “prime volte”, insomma, ma soprattutto poche certezze, rappresentate da quel lotto di squadre che si contenderanno il trofeo fino all’atto finale, in programma la notte del 15 luglio allo stadio Luzhniki di Mosca. In un’ipotetica griglia di partenza, tra le pretendenti più accreditate c’è la Germania di Joachim Low, campione del mondo in carica. La corazzata tedesca è un rullo compressore: seconda nel 2002, terza nel 2006, terza nel 2010, Campione nel 2014. Quattro volte sul podio mondiale nelle ultime quattro edizioni, sono il biglietto da visita di una nazionale che, quando la posta in palio si alza, risponde sempre presente. Il tecnico Low, giunto al suo 12esimo anno da CT, può contare sulla leadership rappresentata dalla spina dorsale di senatori del calibro di Neuer, Khedira, Gomez. Attorno alla quale innestare un potenziale tecnico-fisico a dir poco devastante: Mesut Ozil e Marco Reus sono le stelle, i vari Gundogan, Muller e Kroos campioni che in carriera hanno vinto praticamente tutto. Una squadra che ha sempre fatto della muscolarità il proprio tratto dominante, mai come quest’anno si presenta ai nastri di partenza con una cifra tecnica da far spavento. Con tali premesse, l’obbiettivo non può che essere la vittoria del secondo mondiale consecutivo, impresa riuscita solo all’ Italia nel 34 e nel 38, e al Brasile nel 58 e nel 62. Una vittoria tedesca significherebbe, inoltre, aggancio in vetta all’albo d’oro proprio nei confronti dei pentacampioni brasiliani. I verdeoro, partono in pole position nella corsa per l’iride, e la rosa agli ordini del CT Tite è un’autentica parata di stelle: Alisson, tra i pali, è considerato il miglior portiere del mondo, alla stregua di quel Marcelo pigliatutto in Europa con la maglia del Real Madrid, che ha tracciato un solco nel modo di interpretare il ruolo di terzino sinistro. A centrocampo non latita la qualità: Fernandinho, Fred, Casemiro sono nomi dal curriculum importante. Uomini di spessore, chiamati a supportare un reparto offensivo atomico: Neymar, il fenomeno più costoso della storia del calcio, nelle vesti del trascinatore, affiancato da gente del calibro di Gabriel Jesus, Douglas Costa, Coutinho e Firmino. E pensare che qualcuno di loro, almeno inizialmente, si dovrà accomodare in panchina… Brasile e Germania su tutti.
Leggermente più defilato si schiera il trio composto da Francia, Spagna e Argentina. I galletti di Deschamps sono cresciuti tantissimo nell’ultimo quadriennio, hanno sfiorato un titolo Europeo, e possono contare su un promettente mix tra giovani ed esperti. Mbappè è il nuovo enfant prodige, Griezmann e Pogba sono i fuoriclasse sulle cui spalle si regge il sogno di un’intera nazione, che vuole tornare ai fasti di inizio millennio. Poi, la Spagna, che dopo l’irripetibile tripletta europeo-mondiale-europeo tra il 2008 e il 2012, sta vivendo un processo di ricambio generazionale, conciso con l’avvicendarsi delle leggende di Casillas e Xavi, per far spazio al nuovo che avanza in casa Furie Rosse: Sergio Ramos e Iniesta rimangono i fari di un gruppo giovane e affamato, che punta sulle geometrie di Thiago Alcantara e sulla classe infinita dei madridisti Isco e Asensio. Meno esperienza, forse, ma la solita massiccia dose di qualità al servizio di squadra che può lottare senza patemi per la top four del torneo. Un capitolo a parte merita, invece, l’Argentina. Uno dei più grandi equivoci della storia del calcio. Una maledizione. Sconfitta in finale nell’ultima edizione del Campionato del Mondo, e addirittura 4 finali perse nelle ultime 5 edizioni di Coppa America. Non basta la presenza di un alieno come Messi, non basta la qualità di una generazione che permette di schierare nello stesso periodo storico i vari Di Maria, Aguero, Dybala, Higuain. L’Argentina rimane una pregiata collezione di figurine che, al di fuori del contesto dei rispettivi club, faticano a trovare la giusta alchimia. Il percorso qualificazione che ha condotto al mondiale è stato un supplizio, con un misero terzo posto strappato per il rotto della cuffia all’ultima giornata, a distanza siderale dal Brasile, e condito da numeri impietosi: solo 7 vittorie su 18 partite e appena 19 gol fatti. Un paradosso se si pensa all’artiglieria che il CT Sampaoli può schierare dalla trequarti in su. Il mondiale di Russia è il capolinea. Probabilmente sarà l’ultimo di Messi, sicuramente l’ennesima chance per uscire da un loop di flop e di cocenti delusioni, inspiegabili per un team di questo calibro. Tra le outsider spicca il Portogallo campione d’Europa. Difficile replicare il miracolo di due estati fa, anche sul palcoscenico mondiale, nonostante un Cristiano Ronaldo formato extraterrestre. I lusitani, dipendenti dalle giocate della stella di Madeira, sono seguiti a ruota dalla giovane Inghilterra dell’ uragano Kane, e dal bello ma incompiuto Belgio di Martinez. Le sorprese? Fari puntati sulla Croazia e sulla sua folta colonia di militanti in Serie A, senza dimenticare la doppia minaccia a tinte sudamericane, che risponde ai nomi di Colombia e Uruguay, autentiche mine vaganti del torneo.
Michael Di Chiaro