Oggi è venuto in visita da noi un personaggio di quelli che vale la pena raccontare. Non uno come tanti, un allenatore che dà l’idea di sapere di cosa parla e anche un fino conoscitore del mondo del calcio, delle sue dinamiche e dei suoi personaggi. Abbiamo avuto il piacere di intervistare face to face Sebastian Poma, quest’anno al San Paolo d’Argon, nella sua prima esperienza sulla panchina di una prima squadra. Purtroppo la stagione non ha avuto un epilogo positivo, anche complici molte defezioni. Sebastian comunque è un personaggio, pronto, determinato, col sapere e le abilità adatte per costruire un successo. Da calciatore non ha una carriera memorabile, anche perché inizia a lavorare giovanissimo, ma da allenatore inizia ad apprezzare le dinamiche del gioco e tutto ciò che le circonda. Anche fuori dal campo lavora sodo, si laurea due volte, prima in Scienze della Comunicazione, poi in comunicazione e gestione dei gruppi, è anche grazie a queste che capisce come gestire le squadre che allena. Lui è uno di quelli che arriva dal basso, uno che ha fatto la cosiddetta gavetta, che pensa che in questo sport siano le emozioni a muovere tutto, oltre che la preparazione. Ha avuto la fortuna e il piacere di lavorare con grandi allenatori, in primis Bonaldi, Cingarlini e Tassis, suoi maestri di vita all’AIAC e che ringrazia tanto. Ha fatto qualsiasi cosa a livello giovanile dal Brusaporto, arrivando alla Berretti Nazionali dell’AlbinoLeffe, e poi ancora Bolgare, Albano e infine proprio il San Paolo d’Argon. Una persona tutta d’un pezzo e da scoprire a tutto tondo.
A San Paolo cura appunto il settore giovanile, altra sua grande passione, ma alla decima giornata di campionato viene chiamato a sostituire Ottolenghi in prima squadra. La situazione è difficile: sette punti e i bassifondi della classifica. Sebastian però è convinto di farcela, vince le prime due con Cividatese e Fiorente, partendo come meglio non poteva fare. Il campionato continua e il San Paolo risale addirittura al quartultimo posto, stupendo tutti e arrivando a giocarsi i playout col Basiano Masate. Purtroppo, come tutte le belle storie anche questa ha un risvolto negativo e culmina con la retrocessione delle api. La prima esperienza sulla panchina dei grandi non si scorda mai: “Ho avuto la possibilità di cimentarmi in una categoria che mi ha gratificato molto, mi ha anche prosciugato di energie, perché ho dato tutto me stesso. Credevo nell’obbiettivo, ci siamo andati vicinissimo, bisogna anche fare i complimenti agli avversari. Appena entrato in questo spogliatoio non ti nascondo che ero molto emozionato, poi mi sono concentrato sugli obbiettivi”. Nonostante le difficoltà di inizio anno ha avuto a disposizione un bel gruppo: “I ragazzi si sono messi a disposizione subito, il gruppo era un po’ ristretto, per situazioni interne non siamo riusciti a colmare le uscite con le entrate. Quelli che c’erano però sono stati non solo dei giocatori, ma soprattutto degli uomini. Lavorare con questi ragazzi è ancora più gratificante. Magri ho avuto a disposizione un gruppo di ragazzi troppo giovani e ho cercato di dargli un’organizzazione di gioco. Con tanti giovani sono stato coraggioso, fortunato e anche un po’ bravino, a metterli nelle condizioni migliori per stare in campo e sapere cosa fare. I risultati hanno dimostrato che ce la siamo giocata con tutti. Dopo la scoppola di Pagazzano, ho fatto un viaggio di introspezione e mi sono detto che avremmo dovuto cambiare”. Ci spiega come la sua squadra abbia iniziato a diventare ostica per tutti: “Abbiamo iniziato a cambiare le situazioni di campo, l’approccio alla gara, la mentalità e si è sistemata la squadra. Ce la siamo giocata con tutti, abbiamo vinto a Casazza, dove nessuno è riuscito, abbiamo pareggiato con la Falco, siamo andati vicino a fare risultato con tutte le prime. Nessuno ci ha superato in maniera netta, anzi chi ha giocato contro di noi ha sempre sofferto. Ahimè gli infortuni e qualche defezione della rosa mi hanno costretto a centellinare i ragazzi cosicché non si facessero male. I ragazzi hanno dato tutto quello che avevano. Abbiamo raggiunto degli obbiettivi che ci eravamo prefissati, ma la cosa più bella era l’impresa salvezza. E’ sfuggita per un niente ma questo è lo sport. Quando si retrocede non bisogna puntare il dito perché è troppo facile, tutti hanno sbagliato, compreso me. Anche se siamo scesi non è morto nessuno, si fa tesoro degli errori, ma poi si torna più forti di prima, uniti, seri e motivati”. L’esperienza sulla panchina del San Paolo non è stata banale per Sebastian: “Io mi porterò dietro tantissimo, questa esperienza mi ha fortificato, mi ha fatto capire che posso starci bene in queste categorie. Questo per me è un punto di partenza. Spero di riuscire a partire in una situazione più tranquilla dall’inizio e ad armi pari con gli altri. Ho dentro di me una grande voglia di rivincita, quando retrocedi così ti rimane qualcosa dentro. Col buon lavoro durante l’anno sono convinto che i risultati arriveranno”. Continua ringraziando la famiglia San Paolo d’Argon: “Ringrazio la società che mi ha dato la possibilità di fare questa esperienza e i ragazzi che sono stati fantastici”. Il mister ha avuto a che fare con molti giovani, anche provenienti dalla Juniores vista la rosa corta a disposizione: “Avevo una rosa con media d’età di 21.7/22 anni, nessuno ce l’ha così in queste categorie. Da una parte è un motivo d’orgoglio e va controtendenza a quelli che dicono che i giovani non devono giocare, devono farlo ma in un contesto più tranquillo”. Sul suo futuro si esprime così: “Sono una persona a cui piace lavorare. Ho già detto al presidente che la priorità è San Paolo d’Argon, però giustamente loro devono prendersi i loro tempi, è fisiologico e normale che debbano fare le loro valutazioni. È passato poco dai playout, anche io, come tutti, devo smaltire le scorie negative, con un occhio al futuro. La cosa sicura è che gli darò una mano nel settore giovanile, sono un riferimento importante per il paese, dietro le società ci sono comunità e famiglie con dei ragazzi e lì bisogna essere responsabili. Ciò che voglio dare è continuità a questa esperienza con le prime squadre, credo di essermelo meritato. Le competenze le ho, ho tutto ciò che serve, devo solo dimenticare in fretta questa situazione che non è finita come avrei voluto e tornare con un progetto ambizioso”. In caso dovesse rimanere nella società gialloblù le idee sono ben chiare: “Ho già fatto delle riflessioni, credo che quando si scende da una categoria, qualunque categoria, in una inferiore, bisogna avere tanta umiltà. Se si arriva pensando di essere i più bravi e i più forti solo perché si è scesi, si retrocede anche in quella sotto. Ci saranno giocatori affamati, soprattutto adesso che non ci sarà più la regola del giovane. Ci sono giocatori che sono in una categoria che magari non è quella che vorrebbero e hanno fame di dimostrare, bisogna essere super motivati e organizzati, allora sì che puoi fare un campionato di vertice, che il San Paolo può permettersi di fare. Ci vuole pianificazione e fare tesoro degli errori fatti, perché in queste cose si sbaglia tutti, ripartendo con tanta umiltà, tanta organizzazione societaria e poi quella sana fortuna, che non arriva da sola, bisogna coltivarla”. Conclude parlando del futuro in generale: “Non mi ha chiamato nessuno anche perché la stagione è finita da una settimana. Io sto finendo il lavoro col settore giovanile del San Paolo e quando inizio una cosa la finisco, sempre col massimo impegno, come sono abituato a fare. Non nascondo che avrei una gran voglia di scendere in campo già domenica per riscattarmi. Il bello del calcio è questo, ti dà la possibilità di rifarti subito il giorno dopo”.
Matteo Beni