Ho visto Sanremo, come tutti, incerto sul da farsi, per tre serate su cinque fisso sul divano col telecomando in mano. Mi dicevo: “Spengo o non spengo? Essere o non essere? Esiste davvero un Dio che ci apre la porta del paradiso con San Pietro e un sacco di donne hawaiane al seguito o che ci spedisce giù a bruciare tra le fiamme dell’inferno solo perché in due occasioni ce ne siamo altamente fottuti di fare attraversare una dozzina di pensionati al semaforo di via Corridoni, senza schiacciarli, ma spaventandoli quell’attimo, oppure invece, quando si muore, è uguale a come la immaginavo da ragazzino, ogni volta in quel mood, a letto ignudi con la propria bella, felici, stremati e ubriachi subito dopo avere fatto l’amore per la seconda volta?”. E ancora, più sul pezzo: “Ma com’è che in Inghilterra i cantanti muoiono come mosche mentre qui da noi sono immortali? Ma che minchia di droghe prendono per esibirsi passato il secolo di vita? Ma dico io, possibile siano anche così responsabili, i vari Albano, Morandi, Peppino Di Capri, Ranieri, Paoli, Facchinetti, i Cugini di Campagna e il più fico di tutti, Parrucca Mattarella, ma pure le donne, la Vanoni, persone che continuano a lavorare, pur che non stanno manco più in piedi, per far risparmiare all’Italia le loro pensioni? Avercene di anziani del genere”.
E poi di tanto in tanto passavano i miei coetanei, Grignani, Ramazzotti, Agnelli, i Modà, Arisa e Giorgia, Paola e Chiara, Colapesce e Dimartino, Amadeus e Fiorello, e non li vedevo tanto bene. Super teneri, per carità, come lo siamo noi figli dei super genitori che hanno fatto il Sessantotto. Ma assai problematici, spentini, nella speranza di finirla presto con sta roba di raccontare i cazzi propri per vivere, arrivando al più presto alla minima, ognuno a fiondarsi come me dallo psicologo più vicino a casa il lunedì appena alzato. E mi chiedevo: “Ma Mengoni, triste e perso su una strada, diviso in due, ma pure con quei bei muscoli da marinaio palestrato e quelle parole giuste ed esatte di fronte ai presentatori, è dei nostri? O, invece, per fortuna sua, è di quegli altri, i Maneskin, Ultimo, Madame, Lazza, Leo Gassmann, Tananai, Mister Rain e Gianmaria, giovani convintini duri, tali e quali ai loro nonnetti?”. In tutti questi pensieri generazionali mi è venuta l’idea di scrivere alla Rai per fare un mese di Sanremo suddiviso in dieci giorni di Giovani Cazzutti, poi altri dieci di Problematici di Mezza Età, quindi ancora una decina di Arzilli Vecchietti, per poi fare un gran finale per assegnare il premio al solo interprete al mondo della nostra Penisola. Vi dirò. Io ci credo. Sostenetemi in questo progetto carino forte perché transgenerazionale.
Matteo Bonfanti