Tra le cose, tante, che il CoronaVirus mi ha insegnato c’è anche quella, certo la più banale e ridicola, di come si accende la lavatrice e come si usa il ferro da stiro. Non me ne vogliano le madri di famiglia e le quaratenni in carriera che trovano comunque nel loro business plan il tempo per fare tutto, ma io sono e sarò sempre una pessima donna di casa. Ecco, ora, tutti i miei limiti sono venuti fuori proprio in questi giorni di isolamento forzato in alta Valle Imagna. Il mantra #stateacasa va benissimo, lo condivido e lo sostengo ma, ecco, diciamo così, non corrisponde propriamente a quello che, per me, significa #andratuttobene. E lo dico non per mancanza di sensibilità o realismo nei confronti del problema (chi mi conosce bene lo sa quanto io sia vicina a questo genere di situazioni). Mi rendo perfettamente conto della situazione e della drammaticità dell’emergenza che stiamo vivendo, non fosse altro per il mio lavoro, per quanto amo leggere i giornali e per tutti i pezzi che sto scrivendo sui grandi nomi del mondo del calcio dilettantistico e del ciclismo che, da una settimana a questa parte, sono venuti a mancare per colpa di questo stra maledetto virus. Fatto sta che il problema CoronaVirus è serio e palpabile: anche qui in collina le strade sono vuote, la gente ti parla da balcone a balcone, i carrelli dei supermercati sono pieni e la gente fa “la scorta, perché non si mai”.

Io al supermetcato, ieri, tra un articolo di ricordo e un altro, ci sono andata più che altro per via dei calamari surgelati, la lauta cena impostami dalla dieta a cui sono perennemente sottoposta da quando sono nata (sono nata in carne, eh, e morirò in carne). Li avevo finiti e insieme a quelli avevo bisogno anche degli yogurt, dei cracker integrali (che vita triste) e di un paio di altre cose. Ho scelto quello più vicino a casa mia e, una volta arrivata, ho infilato i guanti monouso e la moneta nel carrello poi sono partita a razzo, per fare il prima possibile. A passo svelto come mai nella vita, manco fossi una maratoneta, ho imboccato una corsia dietro l’altra, fino ad arrivare a quella che, per me, si è rivelata la corsia della consapevolezza: quella dei detersivi. E lì, in quel preciso momento, ho capito in due minuti secchi quello che si sarebbe realizzato una volta tornata a casa. Lavare e stirare. Lavare e stirare. Lavare e stirare. Eh? Cosa? Mi sono ripetuta una decina di volte nella mia testa. No, no. Non sono capace. No, no, mi fa schifo. No, no, mi rifiuto. Ma mentre la mia testa viaggiava veloce per cercare di trovare una soluzione e il mio inconscio lavorava freneticamente attuando tutti i meccanismi di difesa, mi ero già messa il cuore in pace. La fantastica lavanderia dei miei amici cinesi ha abbassato la saracinesca già da qualche giorno, quelle più lontane avranno fatto le stesso e poi non ci posso andare per rispetto delle regola del decreto. Ergo, nessuna via di fuga. Nessuna scusa.

E in quel preciso momento mi rendo conto, per l’ennesima volta (perché non sono mica stupida, eh), di essere una minor per tutto il genere femminile, di offenderlo in qualche modo (e per questo chiedo scusa a tutte la donne), e di fare un torto alle ragazze di tutte le età, in primis alle mie amiche, che alle otto di sera, finito di lavorare, si rimboccano le maniche, lavano, stirano, puliscono la casa e, nel contempo, guardano un cartone o leggono una favola ai loro bimbi. Bhè, per me, la vita non è mai stata questa, per lo meno fino ad oggi. In 40 anni, lo ammetto, non ho mai usato il ferro da stiro. O meglio, non so neanche da che parte si comincia. Per me è e rimane un oggetto simil navicella che ho in mansarda, nello stanzino insieme alle valigie per andare al mare. Ce l’ho, certo che ce l’ho, ed è ben riposto nella sua scatola. Me lo ha dato mia mamma quando mi sono trasferita in Valle. “Ti servirà”, mi ha detto. Come se fosse una premunizione, una profezia. Me lo ha dato insieme ad un asse da stiro e ad un copriasse da stiro. Mai usati. Sono anche loro in mansarda, la parte buia del mio subconscio, dove porto tutto ciò che non voglio vedere. Ma oggi, questi astrusi oggetti non certo volanti, li devo guardare. E li devo guardare bene. Ora che la mia totale indolenza è una certezza, non posso far altro che prenderne atto e andare avanti. Giuro, non lo dico con tono spocchioso o superficiale, ma a me di lavare e stirare non me ne è mai importato niente. E, sinceramente, non me ne frega se la maggior parte di chi leggerà questo pezzo penserà che sono viziata o patetica, io sono questa. Punto. E ne vado fiera.

Ognuno ha i suoi talenti, recitava una bellissima parabola. E io cerco di mettere a frutto al meglio i miei, tutti i giorni. Non è questione di essere irriverente, piuttosto di realismo. Alla Pasolini, uno dei miei scrittori preferiti. Non ho un’intelligenza pratica, non l’ho mai avuta, quella l’ha presa Marco, mio fratello. Sono pessima nel fare le cose di casa, tranne cucinare e fare la spesa, perché mi rilassano. E ammiro tantissimo le mie coetanee che passano ore a cercare l’ultimo modello di Vaporella su Amazon, che sono preparatissime su tutte le fragranze dell’ultimo ricavato moderno in termini di ammorbidente, sui trucchi per togliere anche le macchie peggiori. Ecco, io, di macchia c’ho proprio quella lì. Non sono capace. Lo sanno bene mia mamma, la santa Rina da Lallio, che mi ha sempre chiesto, nella vita, di fare il mio dovere di studente e lavoratrice e tutt’ora mi lava e mi stira, e mia suocera, la Doni, che ride ogni volta che mi sente parlare di questi argomenti e che, ancora oggi, dopo anni, si ricorda di come, in Liguria, avevo pittorescamente preparato il mio letto. E comunque, lì, nella corsia dei detersivi, tra mille marche e mille prodotti, in un baleno (che negli anno ’80 era la marca di una polvere per la lavatrice), si è concretizzata tutta la mia goffaggine ed è venuta fuori tutta la mia profonda tristezza. Il dado era tratto, il Rubicone era stato valicato, non c’era più niente da fare. Io e i detersivi. Neanche la Dea mi poteva salvare.

Preso il coraggio a quattro mani, ho cominciato a organizzare le idee: polvere, foglietti, candeggina gentile, ammorbidente. Quantità spasmodiche, come se dovessi lavare per un battaglione. Fa niente, ho pensato. Meglio abundare quam deficere. E via a casa, carica come al solito come un asino. Scaricato l’inverosimile, manco dovessi berle tutte le sei candeggine gentili comprate e i due litri di ammorbidente rosa (scelto per il colore, ovvio), ho portato tutto in mansarda e mi sono detta: “Ok Moni, è ora di fare la tua parte”. Moni versus lavatrice Candy 10 kg. Quale idea migliore se non quella di farmi mandare via WhatsApp da Marco un vademecum sui gradi per impostare la lavatrice e un tutorial per separare i bianchi dai colorati? Grande Pagani, tre minuti e mi ha già inviato il bigino della perfetta lavanderina (non so quante volte mia nonna Laura mi ha raccontato di quando si lavava a mano ai lavatoi di Bergamo perché non c’erano le lavatrici). E’ una cazzata, devo dire. Apro lo sportello e via, sbatto tutto dentro anche con una certa arroganza, una fiducia ritrovata. Apro il cassettino, polvere a go go, come se non ci fosse un domani, candeggina e ammorbidente. Imposto sui 60 gradi, come mi ha detto il Paghi e su “sporco normale”. Si parte. L’oblò si comincia a riempire di acqua e la ruota comincia a girare. Gira e girerà per parecchio, non so nemmeno io per quanto, ma non m’importa. Ce l’ho fatta. E se ce l’ho fatta io, tutti possiamo farcela. Lo diceva anche Rocky dopo aver vinto col russo, quello biondo e cattivo. Quindi, tornando a noi e alle cose serie, non sarà certo la mia battaglia contro la lavatrice a salvarci da questo complicatissimo periodo, ma penso che, magari, questa mia piccola e screanzata esperienza possa avervi fatto sorridere e distolto anche solo un attimo da tutte le paure e da tutti i brutti pensieri che vi ingolfano la mente in queste settimane. Ne usciremo, ne sono certa, più forti di prima. E chissà, magari, io, oltre al Bergamo & Sport, aprirò una catena di lavanderie tipo quella dei Jefferson.

P.S. – Ho lavato, ma non ho ancora stirato. Devo studiare il tutorial numero 2. Appena fatto, vi faccio sapere come è andata. A presto.

Monica Pagani