Oggi, intorno alle 14 e 35 circa, dopo una serie di piatti giganti di casoncelli e un chilo di trita in tre: il mio secondo, Zeno, 16, è già sotto le coperte, con un occhio aperto e uno chiuso, il mio primo, Vini, 18, se ne sta disteso, colpito e affondato dalla sindrome di muerte apparente che lo coglie un’ora e mezza dopo il fischio finale a scuola, il gatto, Gionni De Cat Elere, ronfa sul tappeto, io chiacchiero e accarezzo i capelli a Ze. Tra noi tre, i Bonfies, si parla a rallenty. In questo sabato uggioso di fine gennaio ho una fila infinita di impegni lavorativi, partita della Dea compresa, sono già abbastanza in ritardo su tutta la linea, ma non riesco a tirarmi insieme. Così rifletto con i miei eredi sulla totale mancanza di verve che mi viene nei mesi invernali, ossia tra ottobre e marzo. Ho la tipica faccia da tartarughina d’acqua che mi si appiccica addosso quando dormo più di dodici ore in un colpo solo e penso che una soluzione potrebbe essere quella di trovare in Città Alta una valigia piena zeppa di soldi, tipo un milione di euro in banconote di piccolo taglio, per poi rilassarmi il giusto, almeno cinque anni. Zeno approva e aggiunge: “Anche perché c’è della crudeltà nei confronti dell’Uomo. Come tanti esseri viventi pure noi andiamo in letargo, ma non possiamo fermarci, abbiamo sempre un mucchio di cose da fare. Non è giusto, dovrebbe intervenire lo Stato”. E si addormenta. Io mi alzo per andare in ufficio, sognando di reincanarmi nella prossima vita in un gatto, non in uno qualunque, in Gionni, che magna e beve gratis, va a micie, fa le fusa, si fa coccolare e si fa una decina di sieste al giorno…
Matteo Bonfanti