Prendete un uomo tutto d’un pezzo. Non chiedetegli di sviscerare i perché della chiusura del rapporto con l’AlbinoGandino, una seconda famiglia più che un club o una squadra da allenare. Piuttosto, fategli sciorinare la sua Top 11, per quelli che sono stati gli elementi più rappresentativi nei dieci anni di conduzione tecnica. A quel punto, a mister Robi Radici, si saranno illuminati gli occhi. Non c’è margine per la polemica, tantomeno per i retroscena o per frasi sibilline pronunciate a mezza voce. Rimane la clamorosità della notizia, agli albori di un’estate che, quanto a cambiamenti, all’interno del dilettantismo, si annuncia persino terrificante. Nel bel mezzo del clamore, ecco la passione più genuina. La passione quale molla risolutiva; quale fine e, allo stesso tempo, mezzo, perché un uomo, stimato e apprezzato a tutte le latitudini del calcio bergamasco come Radici, possa valutare di continuare altrove, nonostante la portata dei cambiamenti e nonostante le amarezze della stagione appena terminata. A dieci anni esatti dalla fondazione dell’AlbinoGandino, dopo dieci anni di ininterrotta guida tecnica, tra Promozione ed Eccellenza, con quel rendimento ondivago a caratterizzare, meglio di ogni altro aspetto, le gesta dei seriani, le strade, tra il sodalizio e l’impareggiabile totem seduto sulla panchina della prima squadra, si separano. Tempo di aggiornare la rubrica, come sottolinea, con l’acume e l’ironia dei giorni migliori, il tecnico assurto a filo-conduttore ideale, tra l’epopea dell’allora Gandinese di Tonino Bosio e il più moderno, aggiornato, sodalizio, presieduto da Walter Gotti: “Cambio squadra, magari cambierò anche ruolo e magari identità (scherza sorridendo, n.d.r.). Sono qui da dieci anni, che non sono certo un’inezia. Le tribolazioni sono state infinite, ma ho trovato la famiglia Gotti. È stata lei a darmi in mano una società da gestire e quindi devo dire grazie a lei, se mi è stato permesso di continuare, in qualche modo, quello che era stato cominciato con la Gandinese”.
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