Non so se il Vestaglietta stia vendendo in edicola, se sia un successo in libreria o se sia un bidone, e questa sera manco mi importa. Perché prima di tutto c’è il mio cuore. Oggi portavo a Chiuduno le copie in regalo a chi mi ha aiutato facendo la pubblicità nelle ultime quattro pagine del mio libro. Sono andato dai Belotti, prima a Paquet Clio, da Laura, uguale uguale a suo babbo, vera, di cuore, e dal suo uomo, il mitico Arri, piede delizioso, in Serie A se gli fosse andata bene senza farsi ogni volta un sacco male, poi da suo zio, che sul mio giornale è Tecnotetto, un’anima buona e ruvida, con un figlio che gioca in D e in fascia fa sfracelli.
Quindi sono stato da Scaburri, che per me e per l’intera Valcalepio è il Marco, uno che a me dà sempre le carezze, quello che fa a tutti i suoi giocatori da vent’anni, i ragazzi della Grumellese, che adesso si chiama Real Calepina. Sono passato dal Biscia, che è Alessandro Rossi, fantasmagorico numero 10 del mitico Villongo di un secolo fa, poi ho deviato verso la Cmv di Volpi, un signore, il signore della Ghisalbese. Alle quattro sono corso a Foresto Sparso, dai Lochis, babbo e figlio, il meglio oggi al mondo, simpatici, intelligenti, sensibili e ironici. Ho concluso il mio giro da Pievani, Piever, un sognatore, il presidente di una splendida e battagliera Aurora Seriate.
In ogni azienda c’era quel profumo, per me dolcissimo, del metallo quando si mischia alla colonia, è l’odore bellissimo di mio nonno Cesarino, operaio alla Perderzani di Bologna. E’ il ricordo delle mie estati accanto a lui, la mattina presto sul 127, il giorno in fabbrica, è quella cosa che hanno intorno le aziende durante i turni. Sono le macchine e gli uomini che mi entravano nel naso mentre sognavo di giocare in Serie A, sono la polvere dei bulloni e il sudore, i muletti tutti intorno con quegli sguardi celesti che ha chi sta facendo fatica. E lui, il mio nonnino, Cesare, un uomo tanto buono che io me lo sarei mangiato a colazione, mi guardava e mi ripeteva: “Il lavoro è quanto di meglio ti può succedere, bambino mio. Diffida di chi non fa niente nella vita, scegli chi suda, mai chi parla senza fare nulla”.
A Grumello e a Chiuduno sono andato a trovare queste persone, una manciata dei tanti imprenditori che hanno fatto la pubblicità al Vestaglietta. Sudore e due chiacchiere, perché c’è di mezzo il pezzo da montare, sorrisi e complimenti “perché, Matteo, per noi la sera leggerti è un dono”.
Poi, alle sei, è venuto a trovarmi in redazione Evro, un altro di questa stirpe, che ha la sua azienda a Zingonia, il posto del suo cuore. Anche lui mi ha dato una mano col Vestaglietta, gli ho dato otto copie perché lo amo. Ha quel profumo, di fabbrica e di colonia, ha gli stessi occhi azzurri di Cesarino, quella tenerezza nello sguardo stanco e fiero, insomma è un figo pazzesco.
E io col mio libro mi sento già a posto, che oggi ho ritrovato mio nonno, morto quando meno me lo aspettavo. Era negli splendidi capannoni di Chiuduno e di Grumello, c’era dappertutto in questa gente bella bella che non molla nonostante il covid e quei cialtroni dei politici che decidono alla cazzo per noi, noi lavoratori.
 
Matteo Bonfanti
 
La foto: è l’ultima scattata a mio nonno Cesare