Incontrare Filippo Cutrona fornisce l’immediata impressione di avere dinanzi a sé una persona che, nel corso della propria vita, ha attraversato con sacrificio e dedizione la cosiddetta gavetta per trovarsi oggi a capo di un’azienda come l’Alpina Service e di una realtà dell’Eccellenza bergamasca come lo Zingonia Verdellino. La chiacchierata ha permesso di scoprire la personalità, le passioni ed i punti di vista un uomo sereno, grato per quanto la vita gli sta riservando e il quale pone la propria famiglia al primo posto, sempre, circondandosi di persone fidate e le quali ricambiano i valori da lui predicati. Il tutto, ovviamente, condito da una passione sconfinata: il calcio.
La sua esperienza calcistica è di lunga data. Si ricorda come tutto iniziò? «Sono nel calcio ormai da una vita, dal 1984: ho iniziato facendo l’accompagnatore dello Zingonia, svolgendo il ruolo per diversi anni. Dopodiché mi sono occupato della direzione sportiva prima di divenire direttore generale, vice presidente e infine presidente: ho effettuato il percorso completo, dalla sezione operativa a quella direzionale per poi mio malgrado fare il presidente (ride, ndr)”.
Si sarebbe mai immaginato di effettuare la “scalata” completa? “Assolutamente no. Inizialmente si trattava solo di una passione che avevo sin da quando ero giovane, la quale mi dava l’opportunità di stare nel mondo del calcio dove purtroppo non ho potuto avere una carriera agonistica. Di ciò ne rimasi deluso, ma quando si è presentata l’occasione di rimanere nell’ambiente mai avrei immaginato che un indomani sarei giunto alla carica di una società che milita addirittura in Eccellenza».
Invece l’elezione a presidente sotto quali dinamiche giunse? «Era l’inizio degli anni 2000 e l’ex presidente Ballabio, la mia figura di riferimento, aveva smesso di occuparsi della società direttamente, quindi lasciava un vuoto. Io ero il suo braccio destro e direttore della società, per cui si è trattato di una sorta di conseguenza in quanto venendo meno la sua figura presidenziale l’ho sostituito nel ruolo».
Ad oggi che tipo di presidente si definisce? «Un presidente operativo, molto umile e semplice. Un presidente che appoggia moltissimo l’operato dei collaboratori, quindi ritengo di essere un presidente alla buona, non patriarcale ma appunto coinvolto nella parte gestionale della società, della squadra e della dirigenza: ci consideriamo una famiglia. Mi sento una persona che coordina un gruppo di lavoro».
E quali sono i valori che non dovrebbero mai mancare all’interno della sua società? «Quello principale è il rispetto delle persone in quanto tali, non tanto dei ruoli perché quella è piuttosto una conseguenza. In generale direi i valori della vita: l’onestà, il rispetto, la consapevolezza del lavoro degli altri. Sono i valori della mia vita personale e quindi di conseguenza anche della mia attività lavorativa, non cambio il mio atteggiamento tra i vari ambiti».
Analizziamo ora la squadra. In questi ultimi dieci anni quali sono le tappe chiave che avete attraversato? «Cambiamenti non ce ne sono stati numerosi: ricordo date particolari come in cui la fusione nel 2003 tra Verdellino e Verdello, ma da lì in poi è variato poco nella sostanza. Oggi permane lo stesso assetto societario che fu adottato al tempo, poi è ovvio che ci teniamo aggiornati in funzione delle necessità. A livello di soddisfazioni invece ce ne sono state diverse come ci sono state anche delusioni. Potrei citare l’arrivo in Eccellenza così come la retrocessione dopo un anno con grande dispiacere poiché eravamo ad un punto dalla salvezza diretta: nel playout ci rimontarono da 3-1 a 3-4 in dieci minuti, è un episodio che ancora non riesco a spiegarmi. Oppure ricordo quando l’anno precedente ci eravamo salvati dopo esserci considerati spacciati: al contrario nel ritorno di playout a Bonate ci siamo salvati contro tutti i pronostici. Anche il ritorno in Eccellenza vincendo il campionato all’ultima giornata è un grande episodio».
Arrivando invece alla stagione terminata da poco, qual è il suo bilancio? «Direi che è positivo ma con qualche percentuale di recriminazione e delusione. Il girone d’andata è stato assolutamente deludente con soli 16 punti totalizzati ed una condanna alla retrocessione: a dicembre abbiamo quindi operato cambiamenti a livello di rosa e per soli due punti non abbiamo agguantato i playoff. È un peccato perché nel finale eravamo decisamente in forma e probabilmente avremmo potuto eguagliare quanto fatto dalla Tritium».
In merito al girone d’andata di cui parlava, cosa crede non abbia funzionato? «Il problema risiedeva nella rosa: in sostanza a gennaio abbiamo cambiato quasi tutti gli acquisti estivi. Non si sono integrati, non hanno fatto gruppo e quindi non sono entrati nel meccanismo, per cui li abbiamo sostituiti con quei giocatori che ci hanno trascinati al quarto posto».
Con quale obbiettivo avevate iniziato la stagione? «Puntavamo ai playoff e come posizione ci siamo riusciti, peccato solo per la forbice che ci ha impedito di disputarli».
Immagino che ora siate al lavoro in vista della prossima stagione: come vi state attrezzando? «Sicuramente manterremo la maggioranza dei giocatori che hanno disputato il ritorno, tenendo poi presente di alcuni cambiamenti che avvengono ogni anno, vuoi per coloro che sono in prestito o per chi ottiene ingaggi che lo portano verso altre direzioni. Ciò a cui si ambisce è migliorare la rosa, ma quanto accaduto l’anno scorso è l’esempio che non sempre si raccolgono i frutti sperati».
L’obbiettivo resterà lo stesso dell’annata passata? «Sì, è il nostro target. Ovviamente non partiamo con l’ottica di dominare ma sicuramente siamo fiduciosi di far bene».
Parliamo ora di giovani. Qual è la sua filosofia in merito al vivaio? «Non nascondo che mi piacerebbe molto portare in prima squadra il numero maggiore di giovani cresciuti nel nostro settore giovanile: detto questo, devo però dire che il nostro non è al momento organizzato in modo tale da permetterlo. Veniamo da un periodo di dieci anni in cui non abbiamo avuto un vivaio alle spalle e abbiamo iniziato a riorganizzarlo l’anno scorso con un accordo con l’oratorio di Verdellino che prevede lo spostamento da Verdello a Verdellino: è normale quindi che ci voglia tempo per crescere, ma stiamo lavorando per il futuro quantomeno per strutturarlo come lo avevamo attorno al 2006, l’anno in cui smettemmo di occuparcene».
A suo parere il settore giovanile deve integrare funzioni anche sociali? «Assolutamente sì, e non mi riferirei solo al vivaio. Secondo me lo sport di provincia ha una forte connotazione sociale: prendendo come esempio la nostra società ed il proprio territorio, è importante dare un punto di riferimento ai ragazzi e ai genitori che vogliono portare i figli a cimentarsi nello sport, e lo sport stesso deve dare un riferimento sociale ed i mezzi ai giovani per esprimersi a livello agonistico per ambire a traguardi prestigiosi».
Mi sposterei adesso verso una sfera più personale. Com’è in grado di gestire l’intreccio fra la sua azienda, la squadra e la famiglia? «Con grande fatica (ride, ndr), con enorme fatica: il mio lavoro non mi concede spazio e quel poco che mi viene concesso lo dedico allo sport oltre che alla famiglia, che per me è al primo posto. Credo di sottrarre ad entrambi per dedicarmi anche allo sport».
Le farebbe piacere se un suo familiare facesse parte della società? «Certamente, io non precludo nessuna opportunità: ho un figlio che gioca ancora a calcio e come è giusto che sia deve fare la sua esperienza. Poi il giorno che deciderà di passare dall’altra parte della scrivania sarà per me un piacere averlo accanto. Basti pensare che addirittura il nostro allenatore gli ha proposto un ruolo, ma lui ha preferito rinviare la decisione fra un anno».
Nella gestione societaria quanto c’è del suo spirito imprenditoriale? «Penso tutto. Il mio comportamento è il medesimo che ho nell’ambito lavorativo e nella vita privata: il mio carattere è questo e credo sempre di agire in maniera istintiva e naturale, per cui che si tratti di sport, lavoro o famiglia io sono così».
Tornando invece alla sua esperienza nel mondo del calcio, ha per caso notato un’evoluzione al suo interno? «Di sicuro c’è stata un’evoluzione negativa dettata dalle crisi del sistema economico, il quale ha portato le società dilettantistiche a faticare nel mettere a disposizione le risorse da dedicare ai giovani. Queste hanno poi portato a limitazioni degli spazi e delle disponibilità, ed il fenomeno degli accorpamenti fra società ne è una conseguenza. In più va aggiunto che le istituzioni ostacolano l’azione sociale delle società dilettantistiche, le quali secondo me ne hanno una forte connotazione: non si immagina i benefici che portano, in trent’anni di calcio ho visto pochissimi ragazzi che con lo sport hanno percorso strade sbagliate. Se le istituzioni considerassero solo i benefici raccolti penso che tutti farebbero molto di più per agevolare realtà come le nostre».
Invece parlando della sua terra d’origine, Castel di Iudica, quanto legame c’è tutt’ora con il paesello? «Molto, io come minimo ci torno due o tre volte all’anno: per me è il mio paesello, è un tornare indietro nel tempo e ci vado con una felicità enorme anche perché detengo numerosi legami ed affetti».
C’è qualcosa che da lì porterebbe a Zingonia o viceversa? «Potrebbero essercene tante o forse nessuna: probabilmente la soluzione è lasciare i due paesi così come sono, è ovvio che se sono venuto qui da ragazzino è perché là mancavano alcune cose. Ma al tempo stesso il piacere che ho nel tornarci significa che si tratta di un posto che detiene cose che qui non posso trovare: è normale che se al tempo avessi avuto là ciò che ora ho qui a Zingonia probabilmente non sarei partito, ma questa è la vita e per fortuna che c’è la possibilità di far coesistere i due ambiti».
Come ultima domanda resterei nel tema del nostro anniversario: come si immagina tra dieci anni? «Sicuramente più vecchio (ride, ndr). Non lo so, spero di avere la salute e lo spirito identici ad ora, in modo tale da proseguire a vivere tra i giovani la vita lavorativa e familiare come faccio oggi: di certo sono felice di ciò che essa mi permette e mi concede, sono positivo nei confronti del futuro e spero possa proseguire serenamente».
Luca Piroddi