Convinto di trovarmi alla vigilia di un mondo nuovo, bellissimo e buonissimo, in questi giorni mi sono messo di ottima lena per diventare un uomo migliore. Intanto la mente, lunedì scorso ho avuto la mia prima seduta con lo psicologo, il dottor Mosca, credo di Nembro, un’ora e passa a chiacchierarcela sul come e sul perché m’incazzo come una biscia quando mi pare di ricevere un torto mentre minimizzo all’inverosimile ogni volta che faccio lo stronzo con Costanza, (forse) mia moglie. Poi il corpo, tutte le sere la stessa corsetta per buttare giù la panza birra, ciclabile di via Baioni fatta per la gran parte di scatto, quindi la salita che porta in Città Alta marciando convinto, per finire l’allenamento con la lingua a penzoloni e le visioni di una Madonna dolcissima sul sentiero che porta a via Santa Caterina.
Non solo, sono passato dalle sei tennentsine quotidiane, la dose per stordirmi nel periodo dell’emergenza, all’onesto mirto serale, con Peroni finale, a bassa gradazione, prima di addormentarmi sul divano con le vecchie puntate di Report, dimenticandomi di Valeria, serie un po’ porno su Netflix, che mi portava ad avere pensieri sexy e maligni verso l’intero genere femminile. In ultimo, non certo per importanza, l’aspetto fisico. Pronti via sono andato dopo oltre due anni a sistemarmi i capelli dal cinese vicino al Gamba, un ragazzo carinissimo, che ha un figlio piccolino che si chiama Matteo, proprio come me. L’ho visto in difficoltà, che mi tagliava i ciuffi al rallentatore, manco fossi stato Gesù che si metteva in ghingheri per l’ultima cena. Allora gli ho fatto fare i colpi di sole. Ora sembro un pagliaccio, quello bello grosso dei Simpson, ma sono contento che il parrucchiere stia meglio economicamente. Insomma sono uscito pensando di avere fatto una buona azione, come quando ero un lupetto, agli scout, da bimbetto.
Il mio miglioramento personale passa anche dalla mia prima vera indipendenza economica, così ho smesso di chiedere prestiti quotidiani a mia mamma e a suo marito. E sono stato a magnare con mio babbo e ho pagato io, facendo il brillantone. Continuo, sempre con gioia, a fare lo schiavo di quel gruppo di adolescenti molesti e affamatissimi di panini di Burger King che sono i miei figli e i loro innumerevoli amici poveri.
Non voglio applausi per la vita da moderno santo che ho intrapreso, solo dire che l’ho fatto perché parecchia gente, che frequento su facebook, scrive post su post per dire che dopo il covid dobbiamo essere migliori. E io, che sono abbastanza pecorone, la sto tentando per allinearmi a un pensiero che ritengo giusto.
Ma gli altri? Oggi sono sceso al bar e ho trovato nella buca delle lettere una cartiera. In ordine di spesa: la Regione mi chiede il bollo auto del 2016, che io nel mio cuore sento di avere pagato, ma di questa transazione intorno ai centoventi euro si è persa qualsiasi traccia nei meandri del casino che c’è a casa mia. Il Comune di Bergamo sostiene che gli debba qualcosa come duecento e passa euro, un po’ per la Tari, ed è un sopruso perché io i miei rifiuti li lascio da anni sulla Pandona Arancione, la mia maghina, e posso provarlo con una foto, un po’ per una multa di quarantadue euro presa chissà dove nel febbraio del 2019, lievitata in questi mesi a novantanove euro. Mi dicono che devo pagare entro e non oltre il 15 giugno, altrimenti saranno cazzi amari. Ciliegina sulla torta delle mie finanze dissestate una sanzione arrivata da Dolzago, provincia di Lecco, una mattina che ero di là dall’Adda. Scrive la vigilessa Beatrice Brioschi che “Matteo Bonfanti (cioè io) lasciava il veicolo in sosta sulla corrispondenza dell’area dell’intersezione”. E’ vero, ma mi sono fermato due minuti a comperare le sigarette dal tabaccaio, Beppe, con cui ho fatto il macellaio a Ballabio nell’estate della quarta superiore. Ce la siamo raccontati un attimo, due parole che mi sono costate settanta euro.
Non sto a menarla. Chiudo solo raccontando che sono andato all’ufficio postale a saldare i miei debiti con le istituzioni e c’era una fila che neppure a salutare Papa Francesco dopo la messa di Pasquetta. Passata mezz’ora, a un passo dal mio turno, due signore mi hanno superato in coda bellamente, fottendosene di me. Mi è parso mi facessero il dito medio, ma forse era una delle mie solite visioni mattutine.
A mezzogiorno sono arrivato qui, in redazione, ormai col magone, e c’era la Dea, la cagnetta di Monica, diventata da tempo il nostro animale redazionale. Mi ha visto e si è messa subito a farmi mille feste. E allora ho pensato: ma non è che questa svolta post coronavirus sia solo per noi bestie, io e la Dea, e non per voi umani?
Matteo Bonfanti