di Matteo Bonfanti

Trovo che l’accanimento del popolo di internet contro L’Eco di Bergamo sia alquanto esagerato. Ho letto commenti di ogni genere, nella gran parte straordinariamente offensivi, il tutto perché il quotidiano diretto da Giorgio Gandola ha sbagliato una fotografia. Il redattore doveva mettere in pagina quella del defunto David Bowie, si è confuso ed ha infilato il faccione di Kaspar Capparoni, artista vivo e vegeto, sosia del Duca Bianco a Tale e Quale Show, programma che non ho mai visto, ma che mi vedrò nel prossimo futuro.
Vedendo l’errore, ho fatto due risate e mi sono fermato lì. E ho evitato di dire la mia su quel vomita-odio-acchiappa-rancori-accendi-nostalgie che è facebook. Ho pensato: il giornalista incappato nella minchiata ha la mia piena solidarietà, ieri gliel’avranno menata in sessanta, vicedirettori, caporedattori, colleghi, collaboratori, amici e parenti. Avrà passato un pomeriggio d’inferno. Sapessi chi è, gli scriverei in privato, un semplice “coraggio” e di non preoccuparsi perché poi la gente dimentica, anche abbastanza in fretta, tipo in una decina d’anni che paiono tanti invece passano veloci come un lampo. Quasi senza accorgersene.
Lo so perché è capitato anche a me al Giornale di Bergamo, da ragazzo, quando stavo alla redazione sportiva ed eravamo assai burloni. E ci scrivevamo troiate nelle didascalie o negli articoli da impaginare, così, senza un vero motivo, per farcela passare visto che stavamo in redazione dieci ore filate ogni giorno. E una volta abbiamo esagerato: Luciano Bachetti, un collaboratore bravo e preciso, uno che se non hai tempo non lo stai manco a controllare, ci aveva infilato uno scherzetto nella presentazione della giornata in Serie D. “Comunque mister Albino Maffioletti ci tiene a precisare: vincere o perdere non me ne frega un cazzo perché l’importante è scopare”.
Il giorno dopo, che era domenica, un casino. L’allenatore, che tra l’altro è una persona d’oro, non si era arrabbiato, solo ci aveva chiesto di rettificare: “Potete mettere che la frase non mi appartiene?”. Io a tentare di convincerlo: “Ma Albino è una sacrosanta verità…”. Lui: “Matteo, sarà anche come dici tu, ma io non l’ho detta”. E avevamo messo l’errata corrige, altrettanto incredibile. E il danno era diventato doppio, che tutti se ne erano accorti, pure Mai Dire Gol, con il Mago Forrest a fare uno sketch su di noi.
Il direttore Paolo Provenzi non se l’era presa perché è uno forte, che vede sempre il bicchiere mezzo pieno: “Hai presente la pubblicità? Lunedì venderemo il doppio”. E ci aveva sorriso, nel suo modo, ed era ripartito a cantare Ligabue e Vasco Rossi nel suo ufficio. Diverso il suo predecessore, Ettore Carminati, che aveva ben altro carattere e per un refuso molto meno grave aveva lanciato una sedia a Fabio Paravisi, salvato dalla Madonna che lo aveva fatto uscire illeso dall’aggressione redazionale.
I due aneddoti per dire che L’Eco non è un giornalaccio perché qualcuno ha cannato una foto così come noi del Giornale di Bergamo non facevamo un quotidiano di merda perché di tanto in tanto ne combinavamo qualcuna. Io, ad esempio, quando facevo la cronaca nera avevo accoppato uno che era vivo e vegeto. “Salve, sono l’antiquario morto ieri. Piacere…”. Uno shock. Credo di avergli allungato la vita proprio come quando si sogna il funerale di un parente ancora in forma, intendo non trapassato. Va beh, ci spero, m’informerò e vi dirò.