“Perché tifi Atalanta?”
Fu Marco a chiedermelo.
Non ricordo che età avessimo, ma la campanella di scuola suonò, e varcammo il portone d’ingresso, lasciando in sospeso la mia risposta.
Era un lunedì, portavo a spalle una “cartella” nera rigida, in un’epoca remota, ancora pre-zaino.
Alla maniglia della cartella, vi era legata – con un nodo bello stretto – la mia unica sciarpa dell’Atalanta, che significava solo una cosa.
L’Atalanta, il giorno prima, aveva perso.
Nonostante fossi un bambino, sentivo la necessità di far capire – che la mia fede calcistica – andava oltre qualsiasi risultato.
Salendo le scale dell’istituto, dissi a Marco:
“Non ho scelto di tifare Atalanta, io sono bergamasco – e perciò – atalantino”.
In tutta la classe, eravamo solo in 2 a tifare la Dea.
Poi toccò a me fare una domanda a Marco, una volta seduto al banco che aveva un inutile buco per il calamaio, mentre sfilavo un libro e l’astuccio dalla cartella.
“E perché tu, Marco, tifi Juventus?”, gli chiesi senza un vero interesse.
Marco, realmente stupito dalla domanda, parlò con un tono – che ricordo ancora – che voleva sottolineare quanto fosse facile e ovvia la risposta che stava per darmi:
“Perché vince, perché è la più forte!”, mi disse con una cantilena da bambino dell’asilo.
Marco restò lì, pronto a sostenere un dialogo che mai avvenne.
Io – semplicemente – sorrisi, senza farmi accorgere, chinandomi verso la cartella appoggiata in terra.
Un sorriso trattenuto, che rischiava di tramutarsi in una risata fragorosa, che sarebbe certamente apparsa come una presa in giro.
Ed io – invece – ho sempre rispettato qualsiasi tifoso, sin da bambino, nonostante loro non rispettassero me.
Marco – quel giorno – non capì la mia risposta, o non la ascoltò nemmeno.
Forse fu la prima vera domanda retorica che mi fecero dopo il “vuoi andare in castigo?” di mia mamma.
Ma io, temperando la matita, col sorriso trattenuto, mi sentii ancor più atalantino.
Ancor più orgoglioso.
Ancor più bergamasco.
Stefano Pagno Pagnoncelli