Il tema del mese di Bergamo & Sport è: perché scriviamo, qual è la molla che ci spinge a farlo. Nella prima puntata si è cimentato sull’argomento il direttore Matteo Bonfanti (http://www.bergamoesport.it/saviano-e-gli-altri-giornalisti-dinchiesta-minacciati-dallitalia-che-odia-e-il-mio-angolo-di-paradiso-il-calcio-provinciale/) che ha chiesto all’amico Evro Carosi di aiutarlo a lanciare l’iniziativa, regalando ai lettori anche le sue riflessioni. Eccole. Chi volesse raccontarci perché ama scrivere, può farlo inviando i suoi pensieri a bergamosport@gmail.com di Evro Carosi
Tutto avrei pensato tranne che un giorno mi sarei messo a scrivere. Ho sempre sognato di poter svolgere attività che mi permettessero di comunicare, magari attraverso la musica, la pittura o la cucina, senza pensare alla scrittura. Ho iniziato quasi per caso, commentando un film e poi, spinto da altri a continuare, ho scoperto che mi piaceva. Ho iniziato a dipingere persone, prendendo spunto da quelle che ho avuto la fortuna di conoscere, non utilizzandoli però come modelli. Le mie storie non sono mai del tutto vere. Cerco piuttosto di raccontare quei sentimenti che, per pudore o timidezza, la gente vuole nascondere.
Le tante persone che hanno fatto di te un uomo, ti ritornano in mente solo quando la natura ti costringe a guardare indietro. Ripensando a loro ti convinci che non avevano parlato di tutti i loro turbamenti. Ti viene voglia di completare la tela che volutamente ti avevano lasciato appena abbozzata. Preso com’eri dalla voglia di futuro, ti accorgi che di loro ti erano sfuggiti tratti importanti o anche semplici sfumature e allora ne ridipingi i pensieri.
Anche se somiglio più ad un ritrattista da piazza, mi piacerebbe essere paragonato ad un piccolo Ribera mentre ritrae gente comune, piuttosto che ad un Goya mentre ritrae un potente.
Non amo scrivere di me stesso. Lo faccio, come in questo caso, solo perché costretto. Spero siano altri a dipingere il mio ritratto. Vorrebbe dire che qualcosa di me è rimasto nei loro cuori e che non ho vissuto inutilmente.