Ma se davvero Gasp fosse tentato dalla Roma? Ora che la corte dei capitolini si è fatta pressante e palese, la palla passa a Gian Piero che nei suoi felici anni sulla panchina dell’Atalanta è diventato il migliore allenatore italiano, quello da cui vanno a lezione i tanti che sognano di fare il mestiere ad alti livelli. Più che gli splendidi risultati, su tutti la consacrazione della dimensione europea della Dea, le plusvalenze record di queste estati e il loro significato, con lui i vari Conti, Kessie, Caldara, Gagliardini e Cristante erano autentici fenomeni del pallone, i nuovi leoni della Serie A. Sono andati e sono diventati elementi appena sopra la sufficienza, lontani anni luce sia dai mostri che erano al Comunale, che dal prezzo di mercato fissato da Percassi e puntualmente pagato dalle big del nostro calcio per accaparrarseli. C’è in Italia un altro tecnico del genere? No, neppure tra i grandi condottieri di fama internazionale, Allegri e Ancelotti, per carità bravissimi, straordinari come Gasperini nella gestione del gruppo, ma che lavorano con giocatori già affermati, campioni belli che costruiti, senza inventarsi dal nulla un nuovo crack, magari promuovendo un pezzo pregiato dalle loro squadre Primavera.
E poi c’è il gioco, questa Atalanta è diversa dal resto del mondo, sempre a ragionare, mai un passaggio a vuoto, veloce, sprezzante, all’attacco, coi colpi di un sacco di gente di classe, adesso Zapata, Ilicic e Gomez. Il Gasp è il solo che a quelli bravi non rinuncia mai, piuttosto gli cambia il ruolo, leggasi il Papu arretrato di venti metri, ed è un’idea vincente, soprattutto a livello di spettacolo offerto alla piazza. Chi dal del tu al pallone, con lui gioca. Ne avesse undici dalla tecnica sopraffina, uno lo metterebbe in porta, con gli altri dieci, a turno, a giocare nelle zone del campo più disparate, come detto tutt’insieme dal primo minuto, perché al bello Gian Piero non dice mai di no.
Gasperini è unico. I motivi principali li abbiamo detti, altri, che sfuggono ai più, fanno di lui un genio a livello di tattica di valore assoluto, un gigante. Parliamo del pensiero stupendo avuto prima con Caldara, quindi con Mancini, il difensore centrale che diventa bomber su ogni palla inattiva grazie a movimenti provati fino all’esasperazione a Zingonia, oppure lo “strano” compito di Toloi, così talentuoso da costruirci sopra quello che a nostro parere è il futuro prossimo del gioco nel football, la sua naturale evoluzione. Piedi buoni e propensione al dribbling, nelle partite imbottigliate contro squadre catenacciare, Rafa prende palla dalle retrovie e parte palla al piede, in questo modo il centrale diventa una mezzala aggiunta, l’uomo fondamentale per creare la necessaria superiorità numerica che permette a Ilicic e a Zapata di trovare la via che porta alla porta avversaria.
Perché questo sperticato elogio che sa di scoperta dell’acqua calda in una piazza innamorata persa del Gasp e che sa di lui persino l’esatto numero di sassolini che ha nelle scarpe? Il motivo è presto detto, gli anni di calcio ruggente che stiamo vivendo a Bergamo non dipendono da Percassi, che quando aveva in panchina Colantuono o Reja, aveva risultati e bilanci in linea con la gestione ruggeriana. Se la Dea è ormai invitata al pranzo delle big è per via di Gasperini. E un allievo del maestro nerazzurro ad ora non si intravede. Purtroppo ancora non c’è.
Se Gian Piero cedesse alle lusinghe capitoline, l’Atalanta tornerebbe all’anno zero nonostante l’ottimo lavoro societario, la dimensione sarebbe quella del recente passato nerazzurro, la parte destra della classifica, pur distante dalle pericolanti, ma senza gli ormai consueti e legittimi sogni europei e, cosa forse più grave, priva di cucciolate di fenomeni che, una volta venduti, mettono al riparo il bilancio. Occorre convincerlo a restare, anche se la via è difficile e non c’entrano i tantissimi soldi messi sul piatto. Più che i cinque milioni netti a stagione, dai si dice Gasperini potrebbe tentennare per la voglia di far vedere che lui sa stare e vincere anche in una piazza grande, grossa e ingombrante. A Milano, sponda Inter, lo cacciarono dopo cinque giornate, il tempo di ambientamento minimo e necessario per un uomo rivoluzionario, un allenatore che persino a Bergamo ha avuto bisogno di un tragico e sconclusionato periodo per ribaltare la squadra come un calzino, cambiando in toto gerarchie cristallizzate in anni e anni di spogliatoio condiviso.
Andasse via il Papu, il capitano che butta il cuore oltre l’ostacolo, o Ilicic, una delizia per gli occhi, o Zapata, il bomberone che qui si sogna da un ventennio, col Gasp in panchina i risultati non cambierebbero. Dal cappello del tecnico piemontese salterebbero fuori nuovi eroi, fenomenali ragazzini della Primavera, sconosciuti architetti del pallone presi in Germania o in Francia, operai svizzeri della mediana da far diventare splendidi splendenti in un giro di giostra. Senza di lui l’Atalanta tornerebbe normale. Per questo bisogna scongiurare con tutte le forze un suo addio. Il compito? Più che di Percassi crediamo sia dei tifosi perché il Gasp è un uomo di cuore e nella sua scelta l’affetto conterà parecchio.
Matteo Bonfanti