Treviglio
– Al Teatro Nuovo Treviglio, davanti ad una discreta cornice di pubblico, si è tenuto l’atteso incontro con Gianni Bugno, indimenticato campione di ciclismo, due volte campione del Mondo. Nel corso della conferenza, organizzata magistralmente dall’Associazione Malala di Treviglio, l’ex azzurro ha raccontato aneddoti della vita di sportivo e presentato la sua autobiografia “Per non cadere- La mia vita in equilibrio” (Edizioni Baldini & Castoldi, scritto a quattro mani con Tiziano Marino). Un libro che si legge tutto d’un fiato, come quelle corse lungo le strade del ciclismo professionistico che Gianni ha percorso con tanto impegno.
L’eroe di Stoccarda 1991 e Benidorm 1992 (12 le edizioni iridate a cui partecipò), anti-personaggio per antonomasia, a cuore aperto ha toccato le “tappe” della sua vita, facendo scoprire il volto umano del ciclismo, quello delle grandi classiche. Un campione che ha fatto del rigore e della serietà un proprio stile di vita, portato con sé non solo nella sua carriera agonistica ma anche dopo la vicenda sportiva. Non a caso da anni si occupa di guidare elicotteri ed in particolare dell’elisoccorso, dimostrando quell’umiltà ed attenzione verso gli altri, ribadita anche stasera ricordando con affetto e riconoscenza il ruolo dei suoi gregari. Al termine dell’incontro, dopo aver ascoltato alcuni frammenti della carriera sportiva, è intervenuto anche il Sindaco di Treviglio, Juri Imeri, per rimanere in tema “ciclistico” ha sottolineato il ruolo della fabbrica Bianchi, azienda che ha deciso di investire ancora molto nello stabilimento posto nel territorio trevigliese. Nello stesso tempo ha raccolto il suggerimento del campione, ovvero l’auspicio che molte amministrazioni comunali si dotino in futuro di circuiti della lunghezza di almeno 1,5 chilometri per permettere a giovani, agonisti e amatori di poter coltivare la passione della bicicletta in tutta sicurezza.
Abbiamo avuto modo di incontrare Gianni per una breve intervista rilasciata in esclusiva a Bergamo & Sport.
Gianni, un onore vederti a Treviglio, patria della Bianchi (per inciso su una bicicletta Bianchi hai vinto il tuo secondo Mondiale)!
“Venire a Treviglio a parlare del mio libro per me è una grossa soddisfazione. La Bianchi è un marchio storico e che ha fatto la storia del ciclismo e a Treviglio so che tutti ne vanno fieri”.
Nel tuo libro dal titolo “Per non cadere” racconti episodi della tua vita. Una bellissima occasione per entrare in contatto con la tua sfera personale.
“È stato Tiziano Marino che mi ha convinto, facendomi questa proposta che io ho poi accettato. Lui ha raccolto vari aneddoti e ha raccolto con quanto ho potuto raccontargli io e da lì ne è uscito un libro”.
Di tutte le tue importanti vittorie, quale ti piace ricordare con maggiore emozione?
“Tutte sono importanti! Non ce n’è una differente dall’altra e sono rimaste tutte nella mia memoria e nel mio cuore”.
In particolare, vestire la maglia azzurra rappresenta sempre una responsabilità particolare. Puoi raccontarci un episodio significativo che riassuma la tua esperienza in Nazionale?
“Ho fatto la Nazionale da quando ero nella Juniores a quando ho fatto l’ultimo anno nei professionisti e per me è stato sempre importante prenderla e poi difenderla soprattutto. È stato un punto di partenza e anche di arrivo e per me è sempre stata la maglia più bella senza la quale non avrei mai potuto conquistare quella iridata”.
Venendo all’attualità, cosa ne pensi dello stato del ciclismo moderno? Quali sono le differenze sostanziali rispetto a quando gareggiavi tu?
“Le biciclette sicuramente. Ora c’è un mondo esterno che è differente dato dal progresso tecnologico, è normale tutto ciò. Ma alla fine ci sono sempre i corridori che spingono con le gambe ed il cervello”.
Sei d’accordo che l’utilizzo di nuovi materiali, sempre più tecnologici ed evoluti, stia contribuendo a migliorare sensibilmente le prestazioni?
“Sicuramente. La parte maggiore dell’impegno lo mette l’atleta ma il mezzo oggi è più performante ed in qualche modo può fare la differenza”.
Si osserva che l’età media del passaggio al professionismo si sta abbassando rispetto agli anni scorsi, con giovani fuoriclasse che si stanno distinguendo dimostrando una maturità nella gestione della gara degna di campioni con un’età maggiore (faccio un esempio su tutti Tadej Pogacar o Remco Evenpoel) ottenendo vittorie sia nelle classiche di un giorno che nelle importanti gare a tappe. Ci dai una tua interpretazione?
“Quella che si osserva adesso è che non esiste più un’età media. O si vedono i campioni ormai a fine carriera ad essere lì a primeggiare o dei giovani che sono veramente forti. Di fatto non c’è uno schema. Grazie ai giovani stiamo vivendo però delle belle pagine di ciclismo”.
Cosa pensi del vivaio di casa nostra? Quali sono secondo la tua esperienza gli atleti che potranno confrontarsi con i campioni stranieri?
“Di giovani ne abbiamo diversi, purtroppo non abbiamo una squadra Pro-tour all’altezza per competere con quelle straniere più forti e quindi i nostri ragazzi si trovano a dover fare i gregari e quindi rischiamo di perderli”.
Visto il tuo vissuto nel mondo del ciclismo, oltre alla tua vita imprenditoriale, ti piacerebbe tornare ad occupare un ruolo di dirigente o di direttore sportivo in qualche importante Team del World Tour?
“No, non è il mio lavoro, l’ho sempre detto. Poi con la Federazione non ho alcuna possibilità di collaborare in quanto nel mio recente passato non ho occupato incarichi dirigenziali e dunque non ho potuto inserirmi”.
Gianni, cosa ti senti di consigliare ad un giovane che vuole intraprendere la carriera ciclistica agonistica? Quali caratteristiche, soprattutto caratteriali, deve avere a tuo giudizio un ciclista nel 2022?
“Quello di divertirsi. La bicicletta deve essere presa come un divertimento poi eventualmente può diventare una professione”.
Gianni Bugno, un campione che ha lasciato una traccia indelebile nello sport italiano così come fu scritto su uno striscione al termine dell’ultima gara nel febbraio 1999 che recitava «Un Bugno è per sempre… non sarà più la stessa cosa». Una carriera fatta di sudore, sacrificio e umiltà, prima volando sulle due ruote e poi nei cieli d’Italia. Un campione, sempre lontano dai riflettori, che anche recentemente ha avuto modo di affermare, con quella umiltà disarmante che ne racconta la cifra umana di cui è intriso: “Non ero forte in salita, non ero forte in volata, non ero forte neppure a cronometro. Mi arrangiavo un po’ dappertutto. Di certo non ero capace ad andare in bici. Cercavo solo di fare quello che fanno tutti: restare il più possibile in equilibrio per non cadere”.
La bicicletta come metafora della vita, un perenne esercizio tra equilibrio, cadute e ripartenze che il Gianni nazionale ha raccontato con tanta semplicità e schiettezza.
Giuseppe De Carli