di Simone Fornoni
Mai avrei immaginato, in vita mia, di sentire il dovere di fare il controcanto a Matteo Bonfanti. Uno dei miei direttori, certamente il più creativo e meno gravato di condizionamenti e retropensieri, di pennivendolo plurimandatario senza centro di gravità permanente, detto da uno juventino inveterato che segue con empatica neutralità l’Atalanta da ormai tredici stagioni e lavora per chiunque non sappia opporgli una valida resistenza. Così impara a fumarmi addosso in redazione mezzo pacchetto di paglie, roba che manco l’appretto o l’esposizione al balcone di notte per togliere l’impestatura dai vestiti. Perseverare, a titolo giustificatorio di ogni mezzo passo falso, con l’assenza del quid in più che riusciva a dare il defenestrato illustre, il Papu Gomez, una ferita aperta che prima o poi dovrà essere suturata come si conviene a ogni consorzio di esseri umani e professionisti intelligenti, è tanto scontato quanto diabolico. I tifosi, che al giorno d’oggi sono attenti al dettaglio, pescano su Transfermarkt le cifrette utili a smentire la tesi: con l’argentino s’era sotto media, solo 15 punti in 10 match in campionato, mentre senza la quota è 22 in 11, e 10 in 6 nel girone di Champions League visto che nella rincorsa post intervallo al Midtjylland s’era già virati alla Pessina-mania in nome dell’equilibrio. E il numero 10, dopo aver begato col mister, era tornato nei ranghi.
IL TORINO SENZA PAPU. Sì, adesso non c’è più ed è ora di guardare oltre. Cercando comunque una spiegazione razionale ogni volta che si spegne la luce e zac, cala il buio come il sipario su una superiorità tecnica e di gioco innegabile nei confronti di qualunque avversario. La pratica Torino pareva liquidata in 21 giri di lancetta scarsi, invece niente, nemmeno stavolta la squadra ha compiuto il passettino verso una grandezza che le appartiene di fatto e di diritto, per le glorie recenti della nuova era e anche per i numeri a pelo d’erba. Chi due sabati prima aveva tritato la capolista Milan nel tempio di San Siro non può poi fare 1 punto in 2 allacciate di scarpe, perdendo malaccio con la Lazio nella sfida-bis che pure contava meno del quarto di Coppa Italia e facendosi imporre il pareggino stitico dall’ennesima pericolante (Spezia, Bologna, Genoa, Udinese e Torino: sarebbero 10 in più). Errori individuali? Può darsi, ma coi capitolini domenica scorsa la sfida non era nemmeno cominciata. Mancava il Papu stavolta? Idem con patate: all’andata, allo start del campionato, il 26 settembre, il convitato di pietra di ogni commento più o meno superfluo che si rispetti aveva dato la carica, pareggiando il vantaggio del Gallo Belotti con l’assolo nell’angolino da fuori e servendo il doppio assist a Luis Muriel e Hans Hateboer per metterla sulla buona strada. Però, se lui non va usato come alibi o come freccia da scagliare contro società, compagni e allenatore, tocca passare al setaccio chi è rimasto e forse non è all’altezza.
IL GASP E LE RISERVE: ALL’ALTEZZA O NO? José Palomino è stato ingenuo a cinturarsi a vicenda con l’asso di Gorlago, furbo come una faina nell’iniziare il fuoco di fila delle trattenute vicendevoli. Lui è una seconda linea, nonostante l’amplissima rotazione del Gasp nei vari tronconi di tour de force stagionali ne faccia un titolare aggiunto. E come nel trofeo della coccarda con l’Aquila, vedi rosso ingenuo per aver braccato fallosamente Lazzari, costringendo i suoi ad asserragliarsi stile Fort Alamo per difendere il 3-2 con le unghie e coi denti, non ne ha fatta mezza giusta. Oppure soltanto una sbagliata, ma decisiva, lì potenzialmente e qui certamente, per riaprire un match morto e sepolto. Matteo Ruggeri, il backup a mancina, ha sbagliato il disimpegno sull’azione del rigore, con conseguente palla dentro di Mandragora. Non è colpa di nessuno se a destra ha dovuto andare per la prima metà Robin Gosens, uno da pentole e coperchi, perché la catena di destra Hateboer-Maehle è tutta incerottata. E se uno come Berat Djimsiti, titolare nominale ma subentrato nell’occasione, si perde lo svettante Bonazzoli sulla penultima palla inattiva utile al nemico. Dunque?
GASPERINI HUMANUM EST. Si deve parlare di legittima scelta dell’uomo sulla tolda di comando, quando si rinuncia alla difesa a quattro o non s’adatta subito un difensore alla bisogna, anche se Rafa Toloi non se l’è proprio cavata benissimo su Ansaldi. Se poi il rientrante Bosko Sutalo è tra i convocati ma in distinta non ci finisce, vedi sopra. E se Ruslan Malinovskyi finora ha azzeccato solo la punizione nel 3-0 casalingo alla Fiorentina a Santa Lucia, mentre anche nella febbre da remuntada altrui del sabato pomeriggio ha perso una marea di palloni mancando l’aggancio sul raddoppio del crucco, e Aleksey Miranchuk si decide a fare il duro entrando deciso in area salvo fermarsi al palo, si torna a bomba: out gli intoccabili, magari per un naturale e sacrosanto avvicendamento, quegli altri che si alzano dalla panchina sono sempre e comunque in grado di scrollarsi muffa e ruggine di dosso per garantire almeno la metà del rendimento di chi sostituiscono? Forse non sta succedendo. Forse. E il Papu, nella rivoluzione dello spogliatoio all’insegna del collettivo, è stato l’agnello sacrificale. Le decisioni le prende il Profeta di Grugliasco, che ha le sue priorità e soprattutto può fare con quel che ha. Ed è umano, non ha conigli da estrarre dal cilindro né la bacchetta del mago perenne a dispetto dei santi. Anzi, degli erroracci a pelo d’erba. Lo scrivo da vedova del Papu, parafrasando Giacomo Mayer, maestro di tutti noi. Nella speranza che la Dea sposi finalmente riserve degne della sua grandeur.