Sono in redazione, mangio un panino col salame e mi bevo una birretta mentre aspetto la finale di una Champions League assurda, senza di noi, il dodicesimo uomo. Penso a te, del resto cosa potrei fare?
Di nuovo sono un bambino, che conosce sulla pelle la felicità, ancora sono amore, pensando alle mie mani nelle tue, tanto grandi. E siamo al Camp Nou, e sono mille anni fa, al grande spettacolo per un pelo, che l’autista di Calolziocorte, ubriaco fradicio dalla festa e dai nostri sorrisi, per arrivare a Barcellona era passato da Parigi finendo nella notte di fronte al Mediterraneo, il nostro mare, il tuo e il mio, noi due, così vicini, così lontani, così italiani. E Dio se eri bellino alla mia età, con le donne catalane a seguirti all’infinito, fino in fondo al tuo sguardo celeste.
Dieci minuti e inizia, devo fare in fretta. C’è un’altra finalissima e io per lavoro dovrei anche raccontarla. E’ tutto il giorno che la desidero, che oggi sono libero, in uno dei miei rari casi in cui non ho nessuno che mi aspetta e mi sospetta. E mi lascio andare, mani, piedi, anima e cuore dentro quella malinconia dolce e piena, che tanto piace a te, che sei un poeta.
Nell’attesa mi sono messo a guardare i gol di Van Basten, il tuo preferito, destro, sinistro, tacco, testa, rovesciata, tecnica e fantasia, “Matty, metticela quando giochi, sta tutto lì, il segreto è l’immaginazione”. Nel calcio non ce l’ho, non l’ho avuta mai e pure mi mancano i fondamentali. Ma a scrivere è un’altra storia e ora come ora sento di avere tutto per sognare, conoscenza ed estro, parole, frasi come rabone, pensieri che sono tiri al volo, ricordi che paiono dribbling infiniti. Me li hai insegnati tu.
C’è l’ultimo atto, inizia adesso, non c’è la mia Atalanta, non ci sono il Papu, Gosens e Zapata, non c’è Ilicic, che amiamo tutti e due, non c’è manco il tuo Milan con Calha dietro a Ibra. C’è il Paris che ha Neymar che somiglia tanto a Gullit, il nostro Ruud, c’è Mbappé che ha gli occhi di Marco, lui, Van Basten, che di nome fa proprio come te. Del Bayern non so nulla, sono tedeschi, non mi interessano, perdonami, ma non li considero perché vivono troppo lontani dal nostro mare.
Buona finale, papà, e so benissimo per chi hai scommesso. E ancora grazie di quel 24 maggio dell’anno 1989. Noi c’eravamo, io e te, sempre e per sempre, dalla stessa parte.
Matteo Bonfanti