Diciamocela tutta senza peli sulla lingua: Ivan Ruggeri non era esattamente in manica ai tifosi. Anzi, spesso e volentieri ne condannava gli eccessi, non ultimi gli incidenti dell’11 novembre 2007, in occasione della tragica morte del laziale Gabriele Sandri, che portarono alla sospensione e al rinvio di Atalanta-Milan. Però resta il più genuino dei presidenti che il club nerazzurro abbia mai avuto. Quello che faceva di necessità virtù e promuoveva in prima squadra nidiate intere di giocatori nati e cresciuti nel vivaio di Zingonia, specie nel ritorno in A allo scollinamento nel nuovo millennio sotto Giovanni Vavassori. La società nerazzurra lo ricorda a otto anni dalla prematura scomparsa, il 6 aprile 2013, nella villa di famiglia di Monterosso, dopo più di cinque in stato neurovegetativo per l’emorragia cerebrale che l’aveva colpito il 16 gennaio 2008 proprio mentre si stava recando in sede.
“Ricorre oggi, martedì 6 aprile, l’ottavo anniversario della scomparsa di Ivan Ruggeri, Presidente dell’Atalanta dal 1994 al 2008 – si legge nella nota sul sito ufficiale -. Il Presidente Antonio Percassi e tutta la famiglia atalantina lo ricordano con immutato affetto. Ivan Ruggeri sempre nei nostri cuori”. Imprenditore nel settore delle materie plastiche, appassionato di ciclismo nonché avversario del mitico Gianni Motta nelle corse under, azionista dal 1977 con già il 19 per cento del club, dopo la vicepresidenza ricoperta sotto Cesare Bortolotti dal 13 febbraio 1979 al 15 settembre 1981 e dal 17 aprile 1989 al 7 dicembre 1990, aveva rimpiazzato proprio il dimissionario Percassi il 23 febbraio 1994 venendo poi sostituito al vertice dal figlio Alessandro dal settembre 2008. L’attuale proprietario sostituì quest’ultimo dopo aver ricomprato la società (al 70 per cento) il 3 giugno 2010.
Ruggeri, nato a Telgate il 14 ottobre 1944, s’era fatto da solo nel ramo del recupero delle materie plastiche. Il suo ultimo periodo al vertice (dal 2006) fu contrassegnato dalla presenza ingombrante e certamente non gradita a tutto l’ambiente del direttore generale e plenipotenziario Cesare Giacobazzi (inviso più ai giornalisti che ad altri, non a caso finì per annullare le tessere stagionali per la stampa senza più accreditare i colleghi de L’Eco di Bergamo, NdR), costretto ad allentare i cordoni della borsa meno degli anni precedenti dopo le spese pazze per il trio Gianni Comandini-Luca Saudati-Alessandro Rinaldi. Erano anni di discussioni e diatribe eterne anche circa il progetto poi senza una conclusione per il nuovo stadio, con Percassi a spingere per la soluzione Grassobbio su terreni di sua proprietà e il burbero Ivan (sposo di Daniela e papà di Francesca e Alessandro) a invitare a farci pascolare le capre.
Negli anni, la chiamata-bis di Emiliano Mondonico per risalire al piano di sopra, la parentesi di Bortolo Mutti con la promozione fallita (’99), gli anni d’oro del Vava con i baby valorizzati e in gran parte ceduti con ottime plusvalenze, le cadute in cadetterìa con Giancarlo Finardi (sostituto del mago di Arcene poco prima del doppio spareggio fatale con la Reggina), le stagioni del primo Stefano Colantuono e il paio da calcio champagne di Gigi Delneri prima del nuovo tonfo nel 2009-2010 dei quattro mister (Angelo Gregucci, Antonio Conte, Valter Bonacina solo a Palermo e Bortolo Mutti). E campioni come Bellini, Morfeo, Orlandini, i gemelli Zenoni, Bellini, Pelizzoli, Montolivo e Pazzini tra i prodotti di casa, più Gigi Lentini, Pippo Inzaghi, Cristiano Doni e Riccardo Zampagna. Sicuramente una grande figura nella storia più che centenaria della Dea, a cui tributare i giusti meriti e dedicare un saluto commosso.
Simone Fornoni