di Matteo Bonfanti

Vista dal mio piccolo angolo di cielo, la Lega Nord alle prossime elezioni non si dovrebbe neppure presentare. So che i sondaggi danno il Carroccio ai minimi storici dappertutto, persino nella nostra provincia, la roccaforte del movimento. E non sono i diamanti di Belsito né i novecentomila euro spariti a Stezzano. Non è nemmeno Belotti, accusato di concorso esterno in associazione a delinquere, né Cota, travolto dalle spese pazze in Piemonte. E non è neanche il preoccupante flirt tra il nuovo segretario Matteo Salvini e l’estrema destra francese rappresentata da Marine Le Pen. La questione è più semplice: l’Italia, in questo ventennio, è cambiata. Tutti, io per primo che ho una nipotina che si chiama Miranda Raymi Zuluaga Gomez e arriva dalla Colombia. Più delle  parole l’ultima immagine che mi porto nel cuore, una foto scattata alla festa di Natale della scuola materna di Monterosso: Zeno, mio figlio, cinque anni e mezzo, bianco come una mozzarellina, abbracciato stretto stretto a Noè e a Malik, entrambi di origine nordafricana, e a Valentino, nato in Cina. Cantano in inglese e per loro il dialetto lumbard è una lingua vecchia, incomprensibile e finta perché non si trova sull’Ipad. C’è, invece, la città di New York e di sera Vinicio, il mio primogenito, obbliga suo fratello a mettersi lì a fare la statua della libertà. Giocano al mondo che per loro è piccino picciò mentre io lo vedo immenso e da bambino ne avevo persino paura.
Perché c’era l’Unione Sovietica che piaceva tanto a mio papà, ma che su Rai Uno dicevano volesse spararci addosso la bomba atomica che, una volta esplosa, ci avrebbe uccisi o paralizzati su una sedia a rotelle o fatti diventare verdi fosforescenti come chi abitava a Chernobyl. E io, di sera, pregavo Dio di mettere me e gli altri della mia famiglia tra chi avrebbe cambiato colore, delle tre la sfiga minore, che c’era chi lo aveva già fatto, Michael Jackson, da nero a bianco, e pareva in forma, ballava come un grillo.
La Lega Lombarda è nata in quel mondo lì, tremante e bisognoso di rassicuranti steccati, quello della mia prima media: ventisei studenti di Lecco, che tra l’altro abitavano vicini e andavano insieme a dottrina, e Sonia che era dell’Eritrea, un posto che non si trovava neppure sulla cartina politica dell’Europa appesa sopra la lavagna. Stavamo lì a guardarla per ore, nera come il carbone, arrivata direttamente dal sole, probabilmente a bordo di un Apollo. E le nostre tesi si sprecavano: che fosse una spia dei russi? Che il suo babbo volesse papparci a colazione come capitava nei filmacci di Rete Quattro? Che la sera sua mamma e suo papà cenassero mangiandosi pezzi di leoni, di gazzelle e di altri animali esotici portati a Lecco su una  zattera sgangherata e maleodorante? A Sonia non bastava essere la più brava e la più carina della classe. Per noi, piccoli lombardi spaventati, restava, comunque, il pericolo numero due, secondo solo all’Urss e alle sue minacce termonucleari ascoltate al Tg Uno. Perché Sonia era l’unica di colore e abitava nelle case Gescal, quelle dei terroni, anche loro diversi, ma un po’ meno perché erano parecchi e tra l’altro menavano pure. Bossi, che non era scemo, ci aveva fatto la classifica: i più cattivi di tutti erano i negri, secondi i meridionali, terzi i comunisti che eravamo noi, i Bonfanti-Campagni, e io mi sentivo messo anche abbastanza bene perché prima di me, mia mamma, mio papà e mia sorella Chiara, i leghisti sarebbero dovuti andare a picchiare un sacco di gente. Stimavo ci avrebbero messo almeno cinque anni, quindi stavo tranquillo e nutrivo per il Carroccio una discreta simpatia.
Che ora non ho. Perché il mondo è cambiato e io con lui. L’Urss non c’è più, i miei amici più cari sono terroni (o comunisti o entrambe le cose), quelli dei miei figli sono di colore proprio come il ministro Kyenge e spesso vengono a casa mia. I loro genitori non ci rubano il lavoro, anzi, versano le tasse che servono a mantenere la scuola materna dove va Zeno o a pagare gli stipendi dei nababbi leghisti in consiglio regionale. Nel secondo caso viene da dire purtroppo, visto quanto raccontano i recenti scandali nei territori dove comanda il Carroccio. Da direttore di un piccolo giornale, che ha una pressione fiscale superiore al sessanta per cento, i miei problemi sono i rimborsi ai politici, gli euro che dalla mia busta paga finiscono investiti in Tanzania. Non sono né Noè né Malik, con Zeno, Vinicio, Miranda e Valentino la mia speranza in un’Italia diversa, migliore.

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NELLE FOTO: DUE IMMAGINI DALLA FESTA DI NATALE DELLA SCUOLA MATERNA DI MONTEROSSO