Bologna-Zadina di Cesenatico a cinquanta all’ora con la Prinz. Poi l’alba che allunga la spiaggia all’infinito, la corsa venendo su dal mare, il telo per non prendere il freddo che fa battere i denti e fa venire il raffreddore, il bombolone a metà mattina, le tagliatelle a mezzogiorno, il rosario da fare in fila perché nessun parente si ammali seriamente, gli occhi sbarrati nel maledetto riposino, il lettino e l’ombrellone, la maglietta e la crema, le biglie coi ciclisti, la pesca quando arriva la sera, i mini jeans di Armani e la gommina in testa, il gelato in centro, la foto del fotografo da ritirare il giorno dopo, la schiena che brucia, l’alcool sulla pelle che fa passare tutto. E le notti, “nonna, ho un po’ paura, posso dormire con te?”, “Vieni, Matteo”.
Bologna-Zadina di Cesenatico a ottanta all’ora con la Polo, che è della Volkswagen, che è tedesca e “che pure se ci ribaltiamo, non ci facciamo niente”. Poi “sveglia, Matteo, che è già mezzogiorno”, i capelli lunghi lunghi nella minestrina, mio cugino Simone che mi fa ogni volta morire dal ridere, le sigarette in pineta, gli amici e le cazzate, il calcio su una spiaggia che verso sera diventa uguale uguale al Maracanà, Roberto Baggio in televisione che fa gol in America, i discorsi interminabili sulla rivoluzione, lei che mi guarda negli occhi, mi dà la mano, mi bacia e mi porta alle colonie, la cabina del telefono e i gettoni all’edicola che sta sulla rotonda. E le notti, “nonna, mangio al volo una piadina al mare, che poi andiamo a farci un giro a Cervia”, “occhei occhei, ma non sciuparti, non bere, non fumare e non fare tardi, ti voglio tanto bene”, “ti voglio bene anch’io”.
Zadina di Cesenatico-Bologna ieri notte a cento all’ora con la Pandona Aranciona a Metano, la mia complice in questo disordine. Poi un Prosecco e due Marlboro all’autogrill, mio figlio Vinicio che è più alto di me, si messaggia con la sua fidanzata, il motivo del nostro viaggio, “sei innamorato?”, “tanto, papà”, “perché mi chiami papà e non Matti?”, “per celebrare il momento”, “bravo”, “grazie”, “e stai bene?”, “sì, ma è pure faticoso”, “è l’amore…”, la solita telefonata “stai arrivando, Matteo?”, “stiamo arrivando, nonna, c’è un po’ di traffico… Sono pronte le polpette?”, “sì, con le patate”, il casello, i viali, Piazza della Pace, l’allegria contagiosa di mia mamma, “Matteo, tagliati i capelli adesso che sei uno scrittore famoso…”, “nonna, sono solo un giornalista sportivo e manco dei più bravi che ci sono a Bergamo, quindi li lascio lunghi”, i racconti, le mie prime parole, un cavallo e io che a tre anni gli grido dietro “pirla”, le nostre risate, il nonno Cesarino che adesso non c’è più, le foto, Sant’Agata Bolognese, la campagna, la nostra stirpe, l’amore tra di noi, la mia gratitudine e la tua. E la notte, “nonna, non ci fermiamo a dormire, ripartiamo al volo che domani c’è la prima dell’Atalanta, ma torno presto a Bologna. Te lo prometto”.
E lungo la strada verso Bergamo accorgersi che è ancora tutto nel mio cuore, ogni nostro momento. E, forse, nonna, il senso dei tuoi cent’anni di solitudine, novantacinque per l’esattezza, è anche questo, avermi regalato migliaia di ricordi felici davanti al mare.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io e la mia nonna, Pina, ieri sera