Un aneddoto raccontato da coach Alessandro Petrone ben descrive lo spirito di Matteo Arnaldi, (nella foto by Antonio Milesi) protagonista al Trofeo Perrel-Faip. Il ligure domina Barrere e sogna un piazzamento importante: “Quello che faccio non mi pesa, anche perché non vedo il tennis come un lavoro” dice il sanremese, che sarà prima riserva alle Next Gen Finals. Avanza anche Andrea Vavassori.

Risultati a parte, uno degli obiettivi di Matteo Arnaldi era la competitività sul cemento indoor. Ha trovato questa condizione a Bergamo per il Trofeo Perrel-Faip, presented by BPER Banca (45.730€, Slam Court)“L’idea era sfidare e battere giocatori della mia classifica, possibilmente anche superiori”. Lo ha fatto alla perfezione nel pomeriggio del PalaIntred, in cui ha lasciato quattro giochi a Gregoire Barrere, numero 93 ATP e reduce dal successo al Challenger di Brest, ma già sconfitto da Arnaldi a Saint Tropez: “Il mio gioco gli dà molto fastidio, anche nella precedente partita veniva da un buon momento – racconta Arnaldi – poi oggi ho giocato particolarmente bene e sono contento di come sono stato in campo. Speriamo di mantenere questo livello anche nei prossimi match”. L’avversario si chiama Liam Broady, giocatore forte ed esperto. E mancino. “Ma per me non cambia niente. Non l’ho mai affrontato, sarà una partita da preparare bene. Per fortuna il campo è piuttosto lento e riesco a esprimermi al meglio”. Arnaldi fa parte della Next Gen italiana, un gruppo di ragazzi che quest’anno ha fatto un importante salto di qualità. A inizio anno era numero 364 ATP, oggi “vede” i top-100. Vien da domandarsi se si aspettasse una crescita così repentina, peraltro condita da una vittoria Challenger (Francavilla al Mare) e altre due finali. “Sono contento della mia stagione soprattutto pensando a come era iniziata – riflette il sanremese – tutti abbiamo aspettative, ma nei primi due mesi dell’anno ho giocato male, quindi non mi aspettavo di salire così tanto. Sono arrivato a un passo dalle Next Gen Finals, infatti la prossima settimana sarò a Milano come alternate nella speranza che qualcuno non giochi… Scherzi a parte, non era un obiettivo. Quest’anno abbiamo puntato soprattutto sul lavoro e sul miglioramento su questa superficie. E oggi è arrivata la prima vittoria indoor con un top-100”.

L’ARIA DI CASA

È piacevole parlare con Arnaldi, forse perché non vive la sua professione – e tutto quello che gli ruota intorno, compresi gli impegni con la stampa – come un lavoro. Ama davvero il tennis e la vita nel circuito, anche se qualche anno fa ha lasciato il Centro FIT di Tirrenia per tornare a San Remo. “Che però è un posto in cui ci si allena molto bene – precisa – ma io ho l’esigenza di staccare un po’ quando termina l’allenamento. A Tirrenia, invece, trascorri tutto il tempo dentro il centro, perché è un po’ isolato. Per uscire ero in balia degli altri, non avendo ancora la macchina. Inoltre, stando lontano da casa, faticavo a fare altro e prendere la patente. Ma se devi fare un periodo di allenamento intensivo di 1-2 settimane rimane un buon posto, in cui hai tutto a disposizione. Io avevo piacere a tornare a casa e stare con la mia famiglia. Per fortuna ho trovato una buona struttura, non ancora sviluppata come oggi, con Matteo Civarolo, il mio coach Alessandro Petrone (che aveva appena smesso di giocare) e il preparatore Diego Silva. Lo scorso anno ho avuto una crescita impressionante in classifica (da 900 a 350 circa, ndr), ma non perchè fossi migliorato troppo tennisticamente: semplicemente ero più libero mentalmente”. Classe 2001, Arnaldi è uno dei pochi giocatori che non risponde “Federer” quando gli si chiede dell’idolo d’infanzia. Il suo preferito è sempre stato Novak Djokovic (“Che emozione quando l’ho visto giocare per la prima volta a Monte Carlo”), anche se si sente più simile a Nadal come atteggiamento. “Ma prendi con le pinze questo paragone!” afferma, come a sincerarsi di non sembrare troppo presuntuoso. La sua spiegazione convince. “Mi capita di incitarmi quando la partita è particolarmente combattuta, un po’ come Nadal – dice – difficilmente mi arrabbio come Djokovic, a cui ogni tanto parte l’embolo. Sul campo riesco a essere abbastanza tranquillo, anche se non è sempre stato così”.

DIVENTARE UN “GIOCATORE”

Già, perché fino a qualche anno fa Arnaldi si arrabbiava parecchio sul campo da tennis. “Ho cercato di eliminare questi momenti, quest’anno sono migliorato molto. Mi sento più tranquillo: in precedenza dovevo gestire la mia mente, perché magari avrei voluto esprimere il mio nervosismo ma cercavo di contenermi. Adesso, invece, la rabbia non emerge più. La verità è che sono maturato un po’ tardi, anche sul piano fisico. Questo passaggio poteva arrivare prima, ma sto facendo un percorso in cui sono un po’ indietro, ma mi sento più piccolo rispetto alla mia età. Potrei avere 18-19 anni”. In altre parole, sta cercando di ripetere quanto fatto da Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, coetanei (o quasi) che hanno effettuato il salto di qualità prima di lui. “Quando li ho affrontati nelle categorie giovanili facevano parte del gruppo, semplicemente sono maturati prima. Intendiamoci, giocano molto bene. Ma in tanti giocano bene: loro sono diventati giocatori prima. Molti hanno effettuato questo passaggio quest’anno. Anche io mi sento più “giocatore”: magari l’anno prossimo scendo al numero 500, ma sento di avere questa consapevolezza”. È il giusto premio per chi ha sempre inseguito il suo obiettivo, senza perdere mai di vista le giuste priorità. Coach Alessandro Petrone ha raccontato di averlo visto correre sotto la pioggia, nel bel mezzo di una pista ciclabile. “Ho una fortuna: non mi pesa fare queste cose – conclude Arnaldi – se mi dedico a qualcosa, perché non devo farla? A maggior ragione se riguarda il mio lavoro, per quanto io non veda il tennis come un lavoro. Anzi, è tutto il contrario. Certamente capitano i giorni in cui non ho troppa voglia, ma spengo la sveglia, mi alzo e vado”.

PROSEGUE L’ONDA DI “WAVE” VAVASSORI

Ancora un successo per Andrea Vavassori: nonostante stia giocando da un mese senza pause, spesso in condizioni diverse, continua a sfornare ottime prestazioni. Dopo aver superato le qualificazioni, ha vinto un match di valore contro Nicolas Jarry, ex top-40 ATP. Il doppio 7-6 per il piemontese è stato un match tattico, in cui entrambi hanno tenuto conto delle caratteristiche dell’avversario: l’azzurro sapeva che Jarry risponde molto bene, dunque ha ridotto la percentuale di serve and volley, tratto distintivo del suo tennis, mentre Jarry ha cercato di presentarsi a rete il più possibile. Ne è uscita una partita interessante, con scambi brevi, soluzioni interessanti e decisa dai dettagli. Per la verità, Jarry ha commesso alcuni errori di misura nei momenti cruciali, permettendo a Wave (storico soprannome di Vavassori) di prendere un piccolo vantaggio in entrambi i tie-break. Il pregio di Vavassori è stata la continuità: non ha avuto cali, è rimasto fedele al suo piano tattico e ha chiuso con un bella volèe vincente, dopo che peraltro aveva mostrato buone cose anche con il passante, stimolato dalla condotta tattica di Jarry. Tornerà in campo giovedì in un altro match affascinante: sfiderà Borna Gojo, reduce dal primo titolo Challenger in carriera, a Ortisei. Tra i due c’è un precedente, giocato lo scorso giugno sull’erba britannica di Ilkley: vinse nettamente il croato, dunque per Vavassori è una bella chance di rivincita. Il primo a centrare i quarti di finale è stato il portoghese Nuno Borges, che nel primo match di giornata aveva usufruito del ritiro di Dennis Novak: con le sconfitte di Majchrzak, Barrere e Zhizhen Zhang, è rimasto l’unica testa di serie in gara. Nel rispetto dell’equilibrio regnante dei tornei Challenger.