di Evro Carosi

Sabato sera, visto come si erano messe le cose, ho preferito ad un certo punto osservare i numerosissimi romani presenti a San Siro: intere legioni di tifosi giallorossi giunti dalla capitale. I romanisti erano riusciti, come al solito e con la stessa simpatia che solo a Roma fa guadagnare a un portinaio o a un parrucchiere 6/7 volte lo stipendio di un poliziotto o di un insegnante, ad accaparrarsi i posti migliori. Quasi tutte poltroncine ad “invito” ottenute con il sorriso e l’aiuto di uno dei tanti santi loro concittadini. Ad ogni gol romanista la metà degli spettatori della tribuna centrale e della tribuna autorità, saltava in piedi per esultare. Così tanti “stranieri” non li vedi neppure quando c’è la Juve. Lo spettacolo che il tifoso giallorosso sa offrire è però davvero unico. La tensione si impossessa del romanista e lo costringe a contorcimenti del corpo, urla e mimiche facciali di altri tempi. Inevitabile il ritorno alla mente di quei film in romanesco, senza sottotitoli, che venivano prodotti esclusivamente a Roma. Noi al nord nelle fabbriche a produrre formaggini, carne in scatola o automobili e i romani a girare per noi film nella loro lingua.
A parte qualche rara eccezione tutti i romani che conosco sono persone ottime e il mio stesso cognome ha molto probabilmente origini laziali, non sarò quindi io a sperare che il Po diventi un giorno un invalicabile confine, ma anche sabato sera ho avuto l’impressione che i romani guardino alla crisi da debito pubblico soffocante come ad una situazione che non li riguardi. Questo dubbio mi è venuto sull’uno a zero, si è rafforzato sul due a zero e ha finito per diventare una certezza al gol del tre a zero.
Per quel che riguarda la partita, solo due gli episodi degni di rilievo: il palo interno, ma molto interno, di Guarin e il rigore che non c’era. Sperando di essere stato più imparziale dei telecronisti Rai, saluto i soci interisti invitandoli a non cambiare fede politica solo perché sabato abbiamo perso tre a zero.