Lo chiamavano Bisteccone, nomignolo in realtà affibbiatogli da un collega decenni prima, ma era un grandissimo, ben oltre la rispettabile stazza. Giampiero Galeazzi è morto stamani a Roma all’età di 75 anni e noi di una certa generazione non finiremo mai di rimpiangerne la figura massiccia, impastata di simpatia genuina e di una ragguardevole scienza calcistica, tennistica e canoistica. Malato da tempo, era nato nella Capitale il 18 maggio 1946. Diventato famoso soprattutto come personaggio nazional-popolare a Domenica In nel pieno degli anni novanta grazie ai duetti con Mara Venier, in realtà era un giornalista d’assalto capacissimo, multidisciplinare, capace di spaziare dagli Internazionali di Roma o la Coppa Davis al calcio, in cui da inviato si rese protagonista dell’intervista a Diego Maradona e al Napoli neo scudettato chiudendo gli altri colleghi fuori dallo spogliatoio, passando per il canottaggio, di cui era stato lui stesso campione nazionale nel singolo (1967) e nel due di coppia (1968, con Giuliano Spingardi). Una parabola professionale cominciata dalle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972.
Alto e ponderoso, figlio d’arte (il padre aveva vinto gli Europei del 1932 nel “due senza”), andava famoso, prima ancora per i suoi passaggi sempre in mamma Rai dalla Domenica Sportiva a Novantesimo Minuto, per le sue telecronache sgolate nello sport che probabilmente amava di più. Memorabili, specie in occasione delle medaglie d’oro nel canottaggio di Giuseppe e Carmine Abbagnale alle olimpiadi di Seoul 1988 e di Antonio Rossi e Beniamino Bonomi a Sydney 2000. Non svicolava da impegni extra-sportivi: nel 1986, infatti, seguì sempre per la tv pubblica l’incontro fra Mikhail Gorbačëv e Ronald Reagan a Reykjavík, dove si trovava per l’incontro di Coppa dei Campioni fra Valur e Juventus. Tifoso della Lazio, lascia la moglie Laura e due figli, entrambi giornalisti come lui, Susanna e Gianluca. Gli sia lieve la terra.
S.F.