di Matteo Bonfanti
Chi non conosce Nicola Radici? Figlio di Miro, ex presidente dell’Atalanta e giovanissimo diesse nerazzurro. Poi dirigente di un sacco di squadre, nel basket, ma soprattutto nel calcio. Ora l’esperienza con la Pro Sesto, club che sfida le regine del calcio bergamasco nel girone B di Serie D. Una volta all’anno lo intervistiamo perché Nicola è un addetto ai lavori di una competenza straordinaria, oltre che di una onestà intellettuale non comune tra tanti suoi colleghi. Ovviamente si parte da Sesto San Giovanni, piazza che ogni anno sogna il grande salto in Lega Pro, ma che anche quest’anno dovrà rimandare l’approdo nel professionismo. Se ne riparlerà probabilmente nel 2015-2016 quando in panchina ci sarà un certo Elio Gustinetti, il mister della favola AlbinoLeffe, in procinto di iniziare l’avventura in biancoblù.
Allora Nicola, quando arriva il grande Gus? «Spero presto. Ora finita l’era Roncari, abbiamo affidato la prima squadra a Dato, il tecnico della nostra juniores. Vedremo. Posso dire che la possibilità che arrivi Gustinetti c’è».
Cosa è mancato alla tua Pro Sesto per primeggiare nell’attuale campionato? «Intanto va detto che la Serie D penso sia uno dei campionati più difficili in assoluto. Chi spende, non centra automaticamente la promozione. Perché i fattori sono tantissimi e poi quest’anno, con la scomparsa della C2, tanti grandi calciatori sono scesi nella nostra categoria dimezzandosi lo stipendio. Quindi anche squadre che di solito non erano competitive, lo sono diventate. Ogni partita è difficilissima. E’, insomma, una categoria dove non si può sbagliare nulla, neppure una virgola. E in più noi a Sesto abbiamo deciso di limitare le spese, il budget è quello e non si va oltre perché il momento economico è difficile e non è il momento di esagerare. Se lo si fa, si rischia di fallire perché uno dei soci decide di andarsene e per gli altri il club diventa troppo oneroso. C’è poi da considerare la piazza, la nostra è esigente. Ed è un bene quando va tutto a meraviglia mentre è un male quando si è in mezzo alla classifica come la Pro Sesto adesso. Detto questo, abbiamo allestito una rosa che poteva comunque giocarsela contro le prime, ma è da qualche mese che i risultati non arrivano. Io ho difeso Roncari con gli altri soci fino a quando è stato possibile…».
Restiamo, per un attimo al girone B di Serie D. Chi va in Lega Pro? «Non ho dubbi: il Castiglione. E’ un grande gruppo, completo, con buoni elementi sia in difesa che a centrocampo che in attacco. Ed ha un mister, Delpiano, che è tra i migliori dell’intera categoria. Delpiano è un pragmatico, uno che bada al sodo, alla vittoria anche di misura, al 90′. Il Seregno di David Sassarini è l’esatto contrario. Gioca il miglior calcio del girone, diverte, segna, ma alla lunga un progetto del genere è troppo dispendioso per gli interpreti in campo. E già adesso il Castiglione ha cinque punti di vantaggio sul Seregno che resta comunque la sorpresa della stagione».
E le bergamasche? «Tignosissime come sempre. Le squadre orobiche sono difficilissime da affrontare perché sono grintosissime e danno tutto fino all’ultimo minuto. Anche il MapelloBonate, che forse è la meno attrezzata dal punto di vista della rosa, a noi ci ha messo sotto. Con la voglia, l’entusiasmo e la determinazione che è propria di noi bergamaschi».
Il Ciserano vola… «Tanto del merito è del direttore sportivo Enrico Vecchi che si è portato in rossoblù il meglio del Pontisola 2013-2014. Mora, Stucchi, Nicolosi e Salandra tutta gente che in questa categoria ti fa fare il salto. Oltre che bravi, sono continui ed hanno esperienza. Poi anche il presidente Olivo Foglieni si sta dimostrando un grande presidente. Perché non è facile essere quarti in classifica, figurarsi poi quando si è una formazione neopromossa. Significa che c’è dietro un’organizzazione di altissimo livello».
In estate a Seriate si sognava… «Sbagliavate. Perché il gruppo è buono, ma non eccellente, intendo da salto di categoria. Poi devo fare i complimenti ai dirigenti dell’Aurora che hanno confermato mister Gaburro anche quando le cose non andavano bene. Hanno fatto la scelta giusta, perché è un tecnico preparato, bravo a superare i momenti di difficoltà, a correggere la rotta».
La tua Atalanta arranca in fondo alla classifica. «E’ incappata nella classica annata storta, quando gli episodi girano tutti a sfavore. Detto questo sono certo che i nerazzurri resteranno in Serie A. Intanto la rosa è molto meglio rispetto a quella delle altre pericolanti, poi hanno al comando una famiglia, quella di Antonio Percassi, presente e che non dà niente per scontato. E quando c’è una società seria e solida alle spalle, i risultati alla lunga arrivano. Credo che la fortuna più grande del club di Zingonia sia proprio il suo presidente, che non fa mai il passo più lungo della gamba, ma cerca di migliorare la sua squadra a piccoli passi, ragionando, senza strafare. E’ un bene. In questo Percassi è in linea con le proprietà che l’hanno preceduto: i Bortolotti, i Radici e i Ruggeri, gente che manteneva le promesse, sobbarcandosi oltre agli onori anche gli oneri che si hanno quando si ha una società tanto importante. Abbiamo visto cosa sta capitando a Parma e vedremo cosa succederà a Genova, sponda Sampdoria, con la presidenza Ferrero. Qui non ci sono rischi di fallimento. I bergamaschi possono stare tranquilli e sereni».
Restiamo a Parma. Cosa ha combinato il tuo amico Ghirardi? «Si è fatto prendere la mano iniziando a ingaggiare giocatori come Cassano e Amauri che vanno bene nelle big, ma non per le cosiddette provinciali. E dopo quattro anni tutti i nodi stanno venendo al pettine. Ha speso troppo anche perché poi il calcio di adesso è molto diverso rispetto a quello di dieci anni fa. Ora i presidenti sono soli, gli sponsor che ti davano i milioni non esistono più. Tommaso ha esagerato e il club è crollato».
Avanti col capitolo Serie A. La Juventus, l’Inter e il Milan, tre società che vivono momenti opposti. «Parto dall’Inter per cui simpatizzo da sempre ed è una realtà diversissima dalle altre due e simile, per alcuni aspetti, a Sesto San Giovanni. Perché è una piazza tradizionalmente difficile, complicata. Gli allenatori vengono tritati perché i tifosi non hanno pazienza. Vogliono tutto e subito e questo porta tensione che non aiuta a raggiungere i risultati. Ora c’è il Mancio, l’unico con Mourinho capace di far vincere la Milano nerazzurra. Vedremo. Diverso è il Milan che invece è un club con un dna vincente. Sta pagando il momento no di Berlusconi che negli anni d’oro era come Re Mida. Azzardava tanto, prendendo sconosciuti in panchina, si ricordi Sacchi, ma anche Capello, eppure vinceva sia in Italia che in Europa. Così Galliani per quanto riguarda i giocatori. Ora le scelte di entrambi si rivelano sbagliate e forse loro due dovrebbero dividersi. E’ una storia un po’ finita, il Milan ha bisogno di volti nuovi, di un ricambio, per tornare a primeggiare. Quanto alla Juve mi sembra che quest’anno non abbia sbagliato nulla, partendo dalla scelta di Allegri che si sta rivelando ancora meglio di Conte, allenatore che già aveva fatto tornare Buffon e compagni ai vertici. I bianconeri sono solidi, hanno elementi fortissimi e sono in crescita. E se ci credono, possono arrivare in fondo anche in Champions League».
L’ultima domanda, quella da un milione di dollari. Come vedi il calcio italiano? «Riflette il livellamento verso il basso di una nazione che fatica a divertirsi. Il pallone in Italia è peggiorato ed è un problema che parte dai settori giovanili che andrebbero ristrutturati puntando non solo sui risultati, ma anche e soprattutto sul gioco. Per tornare grande il nostro calcio deve ripensarsi. E’ il momento».