Pane, pallone e un paio di bicchieri di vino, uniti a una simpatia contagiosa ed a un entusiasmo trascinante. Chiedere per credere a quelli che abitano a Cisano e dintorni: passare due ore a chiacchierare con Roberto Regazzoni, libero professionista, ma soprattutto (per noi di Bergamo & Sport) presidente della squadra rivelazione della stagione, gli All Blacks di mister Maffioletti, riconcilia con la vita. Non stiamo esagerando: il numero uno della Cisanese è una persona dall’incredibile allegria, in grado di trasformare un’intervista in un momento di festa, dove, a ogni domanda le voci si sovrappongono perché, tra amici, una battuta tira l’altra. Succede così che la nostra cena diventi, in un giro di lancette, una tavolata con il meglio del pallone in salsa orobica. Ci sono il Maffio, forse il mister più vincente del nostro movimento; Franco Forliano, direttore generale preparatissimo (e corteggiatissimo sia nella provincia bergamasca che nel Lecchese); il diesse Stefano Villa, ex Brusaporto; il vice pres Santo Gentile, amico fraterno e compagno di scorribande del massimo dirigente bianconero e Alessandro Origgi, un segretario a cui ogni giornale della zona dovrebbe fare un monumento.
Ad unire questo gruppo fantastico c’è un sogno che si chiama Cisanese. Grazie a loro, a giugno, il club All Blacks ha centrato il doppio salto dalla Prima all’Eccellenza, diventando una delle migliori società dilettantistiche a livello lombardo. Oltre alle grandi competenze dei dirigenti, il segreto del successo ce l’abbiamo davanti agli occhi: è l’immensa voglia di vivere di Roberto Regazzoni, ex calciatore. Il ruolo? Facilissimo da indovinare, fantasista dietro alle punte, dalla classe straordinaria e dal carattere ribelle. «Da giovane ero una testa matta, lo ammetto – sorride il presidente -. Ero un calciatore bravo tecnicamente, ma parecchio indisciplinato. Ero una mezzapunta, ambidestro, specializzato negli assist agli attaccanti. Giuliano Sonzogni (ora al Botev Vratsa, nella Serie A bulgara, ndr), il mister che mi ha allenato a Zogno e a cui sono ancora molto legato, arrivava al campo e ripeteva a tutti: “Robi? Pecat che’l gà mia la crapa».
Quando ti sei innamorato del pallone? «Da piccolissimo, in cortile. Abitavo a Calolziocorte ed ero il classico ragazzino pane e pallone. Quando sono diventato più grandicello, ho iniziato l’avventura nel calcio dilettantistico. All’Ac Victoria (squadra mitica di Calolzio, ndr), a Caprino, poi a Zogno. Lì giocavo in coppia con Pasquale Lascala, l’attuale team manager del Mapello Bonate. Segnava un sacco di gol. Lui non lo ammetterà mai ma molto del merito di quelle reti era mio. Lo mandavo in porta, e lui, che era un centravanti vero, freddava il portiere. Qualche stagione dopo, quando ero passato nel Calolzio, mi sono fatto molto male, ho lesionato i legamenti e il ginocchio ha iniziato a farmi male. Ho smesso, ma la passione mi è rimasta».
Nel Lecchese Roberto Regazzoni e Franco Forliano sono conosciutissimi per via di una delle favole calcistiche più esaltanti degli ultimi anni, quella accaduta a Carenno, paesino della Val San Martino che non arriva a mille anime e che in una manciata di stagioni si è trovata a giocarsi l’Eccellenza in un match infuocato contro il Villa d’Adda dei fenomeni (su tutti bomber Pesenti) e del diesse Lorenzi. «Per fortuna non abbiamo fatto quel salto – sorride sornione Roberto Regazzoni -. Resta il fatto che quella di Carenno è stata un’esperienza unica e per tanti versi irripetibile. Con Franco e Santo avevamo la squadra di calcio a sette. Quasi per scherzo, ci siamo guardati e abbiamo deciso di dar vita alla formazione Figc, a undici. Stagione dopo stagione siamo arrivati in Promozione, poi – addirittura – ai vertici di quel campionato. All’apice ci siamo accorti che quell’avventura era un po’ finita e abbiamo deciso di girare il titolo all’Oggiono, di scendere dalla Valle San Martino e di entrare nella Cisanese. Ed eccoci qui, siamo al quinto anno di gestione e siamo arrivati in Eccellenza, ma più dei successi della prima squadra, siamo orgogliosi del nostro settore giovanile che ha raddoppiato il numero delle squadre e dei tesserati. Appesa nel mio ufficio ho la foto di una delle formazioni dei nostri bambini. Le hanno perse tutte e li abbiamo portati a mangiare la pizza. E’ stato il nostro modo di premiarli perché ci mettono l’anima. I risultati, prima o poi, arriveranno».
La grandezza dell’uomo sta anche nella sua leggerezza. Roberto Regazzoni ama vincere (chiedere a chi lo vede ogni domenica sugli spalti) eppure ha un bellissimo modo di sorridere della sconfitta, rendendola innocua. Che legame c’è tra la posizione in campo e quella nella vita? «Tantissimo. Giocavo fantasista e sono una persona fantasiosa, estroversa, che ama la battuta. Nel calcio è il colpo ad effetto, la giocata che libera il centravanti davanti al portiere. I terzinacci, come ad esempio il mio amico Forliano, sono diversi. Franco, in campo, era un picchiatore, tra l’altro malefico con l’arbitro, uno che non mollava mai, anche a costo di rimetterci un ginocchio. E Franco è così anche come direttore generale: è un martello pneumatico, un manager professionista. Lotta su tutti i palloni, non lascia mai niente al caso e la sua organizzazione è sempre impeccabile, perfetta».
Sei un fantasista e un uomo estroverso. Il tuo amore calcistico propenderà per talenti offensivi come Cristian Rota e Arrigoni piuttosto che per delle colonne della mediana o della difesa come Barbugian e Carminati… «Premetto che i ragazzi della prima squadra di questa stagione appena conclusa, mi piacciono davvero tutti. Sono molto in gamba, simpatici ed intelligenti. Certo poi con quelli più estrosi s’instaura un feeling particolare. E’ una cosa di pelle, legata al mio passato, al ragazzo ribelle che ero».
Facciamo un gioco: il Top 11 di Roberto Regazzoni. «Posso giocare con il modulo 1-1-8?». No, pres, al massimo con il 3-4-3… «Allora metto in porta Panzeri, che ora è al Mandello. Difesa a tre con Vanotti, Manuel Rota e Barbu (Barbugian, ndr). A centrocampo Corti (da pochi giorni passato al Merate, ndr), Garghentini, Grasso che avevo a Carenno e Galbiati. Giocheremo in dodici, ma davanti ne devo mettere almeno quattro: Cristian Rota, Arrigoni, Mirko Valsecchi che adesso fa il mister a Mandello, e Paolo Citterio, un attaccante che mi è costato una fortuna. Era arrivato a Carenno dopo un paio di stagioni in cui aveva avuto diversi problemi fisici. Così con Forliano avevamo deciso di fargli un contratto a gol, un tanto a ogni rete. Quanto mai… Segnava sempre. A metà campionato arrivò a fare cinque gol in una sola partita. Immaginatevi le facce di me e Franco in tribuna…».
L’altra tua grande passione. «La musica (canta “The house of the rising sun”, fantastica canzone degli Animals che chi scrive vi consiglia di ascoltare, ndr). Ho anche trasmesso in radio per due anni. Dicevo quel che mi passava per la testa. Mi divertivo parecchio».
Roberto Regazzoni e la politica. «Se dico quello che penso sia giusto fare ai politici, mi mettono in galera, quindi cercherò di essere il più diplomatico possibile. Penso che la politica, che deve essere una passione, sia diventata l’opposto. E’ solo un business, fatto da persone che vogliono arricchirsi e a cui non importa nulla dei problemi dei cittadini. Come me la pensa tanta gente, la riprova sono le schede bianche e quelle nulle. Più di un quarto degli italiani non crede ai partiti».
I tuoi All Blacks sono un esempio di ottima gestione. Chi dei tuoi dirigenti candideresti come premier per risollevare l’Italia? «Risposta scontata: Franco Forliano. E’ un ottimo elemento e ha capacità organizzative straordinarie. Lo conosco da anni, abbiamo lavorato fianco a fianco sia a Carenno che a Cisano: Franco sarebbe un ottimo presidente del Consiglio».
Le persone più importanti per Roberto Regazzoni. «Sono quattro. Le prima in assoluto mia moglie che è riuscita a darmi una bella calmata e le mie due bimbe, di dieci e di dodici anni. Con loro ammetto di essere un po’ pirla. Sono un papà innamorato e per questo molto permissivo. E poi c’è il ricordo di mio padre. Faceva l’operaio, è morto quando avevo vent’anni, quando ero a militare. Non c’è più, ma la sua presenza resta forte. Da sempre mi capita di confrontarmi con i suoi insegnamenti».
Altro gioco: budget illimitato per la tua Cisanese. Chi compri tra i fenomeni della Serie A. «Posso dire Stromberg? Glenn mi faceva impazzire e poi m’immedesimavo. Perché era un giocatore anarchico, difficilmente catalogabile e che, spesso, sceglieva da solo la posizione in campo. Da atalantino ho amato parecchio anche il primo Donadoni che saltava l’uomo con una facilità impressionante. Stimo Del Piero, un grande professionista. Nella Cisanese mi piacerebbe vedere Pirlo. Linea mediana a tre con lo juventino, Barbu leggermente a destra e Garghe a sinistra: tanta roba».
Il viaggio dei sogni da consigliare ai nostri lettori. «Euro Disney con mia moglie e le mie due figlie. Io e mia moglie ci siamo sposati dopo qualche anno che erano nate le nostre bimbe, così il viaggio di nozze l’abbiamo fatto in quattro. I giochi erano una tortura, ma vedere le mie due piccole tanto felici e divertite è stato fantastico».
Non avessi fatto il libero professionista… «Da ragazzo sognavo di fare l’aviatore perché in paese si raccontava che i piloti d’aerei avessero tantissime donne. Ora penso che non cambierei la mia vita con nessun’altra. Sono un uomo felice e fortunato».
Sei originario della Valtorta, ma è tantissimi anni che abiti a Calolzio. Sei più lecchese o più orobico? «So de Berghem. E ho conosciuto dei bergamaschi persino a Ho Chi Min City. Ci siamo riconosciuti dalla parlata».
Due parole due sul campionato del girone C di Promozione, uno dei più belli di sempre, vissuto sull’eterna lotta tra voi e il Paladina. «E’ stata una sfida bellissima tra due squadre molto bergamasche, quadrate, determinate, che hanno lottato fino alla fine. Quanto a noi, mi piace ricordare che eravamo partiti con l’idea di salvarci e siamo saliti in Eccellenza. I miei ragazzi hanno fatto una stagione incredibile. E il merito è anche di Maffioletti, un allenatore bravissimo che ha un grande pregio: sa dire cose giuste nel modo giusto».
Nella lotta promozione quanto ha contato la fortuna? «Diciamo per un trenta per cento. Perché la buona sorte bisogna anche andarsela a cercare».
martedì 2 Luglio 2013