bg_008unodi Matteo Bonfanti

Sfatiamo un mito che ogni tanto sentiamo in tribuna quando andiamo a vedere una partita tra bambini: “Con le quote i club diventano ricchi”. Non è così. Anzi. Non solo le società dilettantistiche non ci guadagnano una lira, ma il più delle volte ci perdono. Perché chiedono pochissimo (si va dai 180 ai 350 euro per ogni tesserato), a fronte di spese che ogni anno lievitano.
Prima dei numeri, il confronto con una baby sitter e con gli altri sport. Se mio figlio va a giocare a pallone, sarà occupato per almeno cento pomeriggi l’anno (i due allenamenti e la partita, da fine agosto a metà maggio). Mediamente i nostri dirigenti chiedono 250 euro a tesserato. Significa che mi tengono il figlio per tre ore chiedendomi appena 2 euro e 50 centesimi. Tariffa oraria incredibile, 80 centesimi, un decimo di quanto prende la famosa tata (8 euro), un cinquantesimo della paga di un singolo maestro di tennis (40 euro) o di sci (a cui va però aggiunta la salassata per il giornaliero e per l’affitto di sci e scarponi). Sipario quindi su un’inchiesta che tra le righe spiega perché il calcio è la disciplina che pratica più gente in Italia.
Un po’ perché giocare è assai divertente, tanto perché è straordinariamente economico rispetto al resto. Merito dell’esercito di volontari che si spendono nei nostri club, ma anche dei presidenti che mettono il denaro che serve per ripianare i bilanci spesso in perdita. Perché lo fanno? Tutti, nessuno escluso, per aiutare le famiglie della zona, che significa togliere i ragazzi dalla strada e insegnargli a rapportarsi in un gruppo che funziona se ognuno fa la sua parte, seguendo le regole che li faranno diventare buoni giocatori, ma, soprattutto, uomini in gamba. Tanti massimi dirigenti investono sui vivai perché hanno in testa l’idea che ha fatto vincere la Champions al Barcellona o arrivare l’Atalanta in Serie A: costruirsi in casa i propri fenomeni, portandoli fino alla prima squadra. Che un bel giorno non avrà più bisogno di prendere calciatori da luoghi lontani. Competitivi, quindi, senza dover versare neppure un rimborso chilometrico a chi viene da fuori.
E’ il caso della Cisanese, probabilmente uno dei migliori settori giovanili della Bergamasca, di certo tra i più organizzati, tra i pochissimi che già dai Giovanissimi fa fare tre allenamenti settimanali (di solito sono due) ai propri tesserati. Quota richiesta all’atleta 250 euro a fronte di una spesa per il club che si aggira intorno ai 650 euro. Il calcolo è presto fatto, i ragazzi del vivaio degli all blacks sono più o meno 200. Significa che l’introito nelle casse bianconere è di 45-50mila euro. Che coprono a malapena la spesa complessiva per il vestiario (35mila euro) e la manutenzione dei campi che sono in erba o in sabbia (10mila euro). Ma non bastano perché le formazioni sono tantissime (undici) e quindi bisogna affittare altri terreni di gioco (10mila euro). Poi ci sono le bollette per l’acqua e il riscaldamento del centro sportivo comunale in gestione al club (20-25mila euro). Ovviamente non finisce qui: ci sono i pulmini che vanno a prendere i ragazzotti che abitano nei paesi vicini (10mila euro tra gasolio, bollo e normali riparazioni), il costo dei cartellini, dell’iscrizione delle varie formazioni ai campionati, delle visite mediche per i ragazzi della juniores e della lavanderia (che complessivamente fanno 10mila euro). E già qui abbiamo passato i fatidici 100mila euro. Ma non è finita perché alla Cisanese il direttore generale Franco Forliano e il presidente Roberto Regazzoni non danno nulla per scontato e quindi affiancano la normale assicurazione della Federazione a un’altra, per aiutare l’atleta e la sua famiglia nel malaugurato caso di un infortunio davvero grave e sono altri soldi. Più o meno la somma investita per il materiale medico e le visite dal fisioterapista di fiducia quando il baby attaccante si strappa e deve recuperare dall’infortunio. E poi c’è l’esercito di persone che serve a far funzionare una struttura tanto grande, settanta persone tra responsabili del vivaio, allenatori, dirigenti accompagnatori e segretari. Per averli tutti bravi Cisano Bergamasco non basta, bisogna prenderli anche da altri paesi. E, giustamente, a chi arriva da lontano, un minimo di rimborso chilometrico va dato. Sommando ogni voce e tirando la riga della massaia si arriva a 130mila euro di spesa, appunto 650 euro a tesserato. Ben spesi perché, non lo diciamo noi, ma qualsiasi addetto ai lavori, la Cisanese è il meglio in cui può incappare un calciatore in erba: una grande famiglia per l’immensa umanità che si respira in via Ca’ de Volpi, ma dall’estrema professionalità di chi, ormai da anni, ne tiene le redini. E gli strabilianti risultati sportivi lo stanno a dimostrare.
Scendiamo di parecchie categorie, cambiamo zona e guardiamo in casa Falco, altro club bergamasco che da sempre cresce grandi talenti e che, proprio come la Cisanese (pur con le dovute proporzioni), dà maggiore importanza al vivaio piuttosto che alla prima squadra. Sette le formazioni nerazzurre al via nel 2014-2015 e un totale di centoventi giovani calciatori che pagano una quota iniziale di 250 euro e che per la maggior parte sono residenti ad Albino. Ma scopriamo che una buona minoranza arriva da altri paesi della Valseriana. Ed ecco quindi la prima grossa spesa, quella per il pulmino, mille euro per ogni formazione, né più né meno di quel che si spende a Cisano. La maggiore uscita è il campo che la Falco paga perché non è suo, 2mila euro a squadra che è l’identica spesa sostenuta dai dirigenti albinesi per altre tre voci: i cartellini, l’iscrizione ai campionati (e ai vari tornei) e l’abbigliamento. Altre spese non ne hanno, rimborsi chilometrici non se ne danno: tanto si chiede alle famiglie (30-35mila euro), tanto si spende (30-35mila euro). Se poi si trova lo sponsor tra i genitori facoltosi, allora si aiuta chi non ce la fa a pagare l’intera quota e ci si dimentica di chiederla a una ventina di ragazzi che hanno alle spalle famiglie in grossa difficoltà economica.
Spesa dopo spesa arriviamo in Terza categoria. Prendiamo in esame l’Oratorio San Tomaso che ha cinque squadre e grossomodo le spese che hanno tutti i club: luce, acqua, gas, manutenzione del campo, magliette, tute, borse e k-way. Eppure la quota d’iscrizione è tra le più basse della Bergamasca, appena 180 euro annui per far diventare il tuo bambino un calciatore fatto e finito. E tra chi s’impegna in prima persona ci sono nomi altisonanti, due su tutti: Giacomo Mayer e Alessandro Sesani, due eccezionali esperti di calcio che, tra l’altro, sono persone squisite, dal cuore d’oro. Come si fa a far pagare così poco a fronte dei soliti costi? La spiegazione è abbastanza semplice e si chiama cinque per mille. Se si sensibilizzano tutte le famiglie del quartiere a devolverlo alla propria società sportiva si arriva a un introito di diecimila euro. Già così il pareggio di bilancio non è un miraggio. Per arrivarci tranquillamente il San Tomaso, che non ha sponsorizzazioni, fa altre tre cose: una festa estiva, “Sportivamente” (4mila euro di guadagno), dieci euro a stagione di tassa per dirigenti, allenatori e accompagnatori (2mila euro) e la quota stagionale anche per i ragazzi che militano in Terza (4mila euro). Un capolavoro che comporta ore e ore strappate ai propri cari per far crescere bene una truppa di giovanissimi. E così è dappertutto nei 202 club che iscrivono squadre giovanili ai vari campionati nella Bergamasca (tanta Figc, ma il Csi sta crescendo). Noi genitori dovremmo almeno ringraziare i presidenti. Senza pensare si stiano arricchendo con gli ottanta centesimi all’ora che ci chiedono per aiutarci a crescere il nostro bambino.

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