di Evro Carosi*
Il treno di Giulio, era anche il suo treno. Quando lui saliva, lei era già seduta nel solito scompartimento. Si è sempre chiesto dove abitasse quella ragazza che tutte le mattine gli dava la forza per tirarsi fuori dal letto. Mai una parola in tanti anni di scuola. Scendevano entrambi in città. Lui prendeva un autobus e lei proseguiva a piedi. Giulio era uno studente modello, di quelli che scioglierebbero lingua e cuore a qualsiasi mamma. Per pagarsi gli studi faceva qualche lavoretto serale. Lei era la donna del mistero, di quelle che appaiono belle per dolcezza e perché non aprono bocca troppo facilmente. Tutti i giorni, un’oretta tra andata e ritorno, lei mescolava nozioni e desideri nel povero cervello di lui. A scuola non insegnano come corteggiare una ragazza. Forse qualche professore sarebbe stato ben lieto d’aiutare il suo alunno migliore. Con quali risultati? Il giovane non si fidava di gente che, come lui, aveva speso la vita sui libri.
Il suo cuore non ce la faceva più. Come un bambino capriccioso supplicava di uscire allo scoperto, di fare almeno un tentativo. Ogni giorno, appena messo piede sul treno, Giulio si accertava che lei ci fosse. Non gli era più così chiaro perché andasse a scuola. Forse per incontrare quella che immaginava essere la sua ragazza? Il pensiero si era allontanato dalla ragione. Fu un sabato mattina di primavera che il cuore lo costrinse a balbettare qualcosa. Lei lo guardò con un sorriso e si protese verso di lui per sentire meglio. Un ciao seguito da una pausa infinita e passata a deglutire saliva. Poi: «Io sono Giulio». «Maria» rispose lei con un elegante movimento del capo. L’eco di quella semplice risposta rimbombò fino all’ultima carrozza. A treno fermo, un altro saluto. Giulio era talmente eccitato e fiero del suo coraggio che non volendo raccontare ad altri l’accaduto lo raccontò a se stesso per tutto il fine settimana. Il lunedì seguente mise le piume e si trasformò in gallo. Non un gallo cedrone. Un giovane galletto amburghese neppur pronto per il bancone del supermercato. Giulio aveva preparato un sacco di domande e, come per un’interrogazione, aveva studiato anche le possibili risposte, tranne una. Scesi dal treno Maria lo interruppe, lo guardò negli occhi e: «Oggi c’è un sole stupendo. Io a scuola non ci vado e tu? Mi fai compagnia?». Le gambe di Giulio non reggevano più, piegate e tremanti come quelle di un giovanissimo Celentano. Cercò di prendere tempo, ma il «quindi?» di lei gli fece presente che tempo non ce n’era. Nel giro di due secondi fu violentato dal dubbio. Come poteva bigiare? I suoi genitori s’aspettavano il massimo in fatto di rendimento e disciplina. Non era da lui. Quando il cuore di Giulio si era già arrampicato al cervello per prenderlo a pugni, la bocca del giovane disse: «Oggi non posso proprio. Ho la verifica di matematica. Rischierei di esser rimandato». Dopo aver mentito tanto ignobilmente, il suo stomaco s’attorcigliò come un panno strizzato da una corpulenta lavandaia. Anni di attesa buttati al vento per una verifica che non c’era. Maria lo salutò con una carezza, dolorosa più di un uppercut sferrato dal miglior Tyson, e si incamminò. Lui restò a guardare quel passo che per molte notti aveva sognato, fino a quando la sagoma di lei sparì dietro l’angolo. Per qualche giorno prese il treno mezz’ora prima per evitare di esser traviato. La incontrava solo al ritorno, adducendo ogni volta una scusa diversa. Compiere il proprio dovere aveva dato a Giulio un gran senso di sicurezza. Sempre. Ora, invece, si sentiva un pezzo di quella cosa marrone che Nutella non è. Dopo tutto quel rimirare senza agire, preferiva quasi evitare Maria. Gli ottimi voti, i sorrisi della mamma, le pacche sulla spalla del papà, non riuscivano a lenire il suo dolore.
Questa non è una di quelle storie che finiscono bene. Dunque, la farò corta. Maria, che a scuola non andava volentieri, trovò presto un compagno che esaudì i suoi desideri, compreso quello di marinare le lezioni. Giulio restò a guardare, anzi, non guardava neppure – la ragazza non viaggiava più sola. Cambiò definitivamente treno. La incontrava con la fantasia.
Terminò gli studi facilmente, con il massimo dei voti. Tanto facilmente che quasi nessuno si congratulò con lui. Ora, una laurea costata la madre di tutte le rinunce in bella mostra, accompagnata dal ron ron di un vecchio orologio a pendolo. Il barbera e i ravioli della mamma la domenica. Il vecchio gatto malato con cui condividere la poltrona. L’album di famiglia da sfogliare. Gli occhi del padre ormai privi di illusioni. Un lavoro. La passeggiata serale con il cane. Maria valeva tutto questo? «No, valeva molto di più». Fu il padre ad interrompere i suoi pensieri. Fuori pioveva. Non poteva essere altrimenti.
*l’unico vero maestro rimasto in Italia