Che poi ancora nessuno lo dice, ma per noi, che non siamo né alti né tantomeno dotati di un corpo straordinario, Leo Messi è l’ultima occasione per immedesimarci nel campione del mondo, il più figo di tutti nonostante sia dei nostri, nato così così, con le sfighe che ha la gran parte del genere umano. Il primo è stato Gianni Rivera, poi il meglio del meglio, Diego Armando Maradona, quindi quello che giocava, segnava e inventava con le ossa rotte, Roberto Baggio, il solo per cui ho pianto. Era il 1994, a Cesenatico, in una piadineria vicino al mare davano i rigori di Italia-Brasile e a me alla fine scendevano i lacrimoni.
Finiti i tempi d’oro, già a metà degli anni Novanta ecco un’altra generazione superba, ma che andava a grandi passi verso un pallone più simile al basket, ok la tecnica, ok la classe, ma ci vuole anche un fisico bestiale, Ronaldo, dico il Fenomeno, e Zizou, quello immenso della Juventus. Colpi geniali, ma pure scatti brucianti, giocate alla velocità della luce per via di muscoli eccezionali, sovrumani. Da lì in poi la via è stata quella, con Cristiano a essere il capostipite del massimo dei massimi e un paio di eccezioni ancora in voga, Luka Modric e, appunto, Lionel Messi, entrambi in Qatar probabilmente al canto del cigno.
Più del croato, tanto anche per via del numero dei gol, Leo, per molti aspetti il clone 2.0 del suo idolo, il giocatore più amato da tutti noi, il Pibe de oro. Piccolo, brutto e pure un po’ sfigato, che da bimbetto Lionel manco cresceva, taciturno e timido fuori dal rettangolo di gioco, incredibile dentro, sempre a inventare giocate che nessuno aveva visto mai, la totale fantasia al potere con addosso il numero dieci del Barcellona, mes que un club, uno spot del calcio in uno spot per un mondo diverso, la Catalunya, regione che per alcuni aspetti per la mia generazione è stata una strada obbligata perché assai rivoluzionaria.
Nascerà un altro Messi? Difficile crederci, Mbappé, il suo erede, è l’estremizzazione del contrario, uno che potrebbe tranquillamente fare i cento metri alle prossime olimpiadi vincendo la medaglia d’oro, attaccante che spara bombe da ogni posizione a duecento e passa all’ora dopo averne superati un paio in modo supersonico.
Godiamoci, quindi, l’ultimo valzer di questo tango dall’estrema poesia che è stato il calcio un attimo prima che il dinamismo esasperato, le partite in ogni dove e i ritmi frenetici lo trasformassero nella lotta tra uomini che sono fiere, gladiatori superdotati uguali a quelli che duemila anni fa si battevano nelle arene fino allo stremo. Leo no, identico a Maradona, contro qualsiasi legge della fisica ha vinto trofei su trofei, arrivando questa sera in cima al mondo grazie all’estro, all’immaginazione. Che, anche se sappiamo benissimo che non sono più quei tempi là, sogniamo un’altra volta al potere. Quantomeno nel pallone.
Matteo Bonfanti
Foto Mor