di Simone Fornoni
Col giochino delle parti del patrimonio da preservare altrimenti si rompe e poi addio, la pantomima a strisce nerazzurre sta oltrepassando il parossismo con almeno due pezzi grossi dell’Europa League alzata al cielo di Dublino sfilatosi come i grani del Rosario. Si sa. Una provinciale tende a replicare, insieme alla purezza d’origine, i difetti della provinciale, leggi potere di contrattazione rasoterra o quasi, anche se costruisce anno dopo anno belle favole sportive a pelo d’erba rilanciando fama e carriera di chiunque vi giochi. Amato e coccolato, eppure irriconoscente perché palancaio e ambizioso. E al Centro Sportivo Bortolotti, alla vigilia dell’esordio in campionato, le zavorre sono diventate tre, all’improvviso. Costringendo l’Atalanta a mettere mano all’organico dell’Under 23 per tamponare le falle, anche dalla cintola in su, dov’è venuto meno l’eroe di Dublino, tre gol sui tre della squadra.
Il diavolo tentatore delle big, o comunque degli acquirenti che approfittano della voglia di palanche, delle ambizioni e delle pretese di fare il titolare degli scontenti della provinciale che ha osato volare tipo Icaro, nell’ultima puntata s’è presentato sopra i cieli di Zingonia sotto forma del Paris Saint-Germain. Ademola Lookman s’è aggiunto alla sommossa carbonara, o se preferite all’ammutinamento, già in corso per mano del primo ribelle Teun Koopmeiners, seguito a ruota da quell’El Bilal Touré scontento di essere stato retrocesso a cambio in corsa dal titolo di investimento più oneroso della storia del club. I parigini con le tasche degli sceicchi, la Juventus e lo Stoccarda, che ha bruciato la concorrenza del Bournemouth, gongolano soddisfatti.
Si dirà: vabbè, ma chi ha il cash da spendere e necessità di implementare la rosa di norma si comporta sempre così, è come in amore, dove tutti rubano qualcuno a qualcun altro. Il problema non è il gioco delle parti e neppure l’effetto domino, l’emulazione che davanti a un cattivo esempio ne sforna un altro paio con uno stillicidio orrendo. La questione è che, quando attingi le vette del calcio business alzando al cielo l’Europa League e rivalutando gente che prima non se la strusciava nessuno, perché sotto media per una punta come il nigeriano tra Premier League e Bundesliga, o perché dai numeri ottimi ma in un mercato secondario come il tuttocampista in Eredivisie, oppure perché costava e costa troppo e magari si trasferisce già praticamente rotto come il maliano, ti trovi davanti a un bivio: o trattieni la gente che piace a suon di sfondamenti del tetto agli ingaggi, oppure la ingabbi nelle pieghe dei contratti costringendola a rispettarli alla lettera.
Sotto attacco mediatico da parte dei tifosi, e ci mancherebbe altro, i tre separati in casa attendono solo di vedere soddisfatte le proprie pretese. Al netto della perdita della stima generale, di cui non potrebbe fregar loro di meno perché un professionista in carriera mediamente è così, tetragono al rapporto emotivo e all’empatia verso il popolo che lo acclama, il trio Lescano in rotta col club, fin troppo signorile e comprensivo senza il dovere di esserlo, si sta coprendo vagamente di ridicolo. Nessun aggettivo potrebbe essere più adatto a chi è capace di mettersi in mutua per l’asserito stress, a chi si sfatica perché mai titolare da antieroe e antiprotagonista arrivato già rotto dall’Almeria, che stavolta ha rifiutato di riformulare al ribasso l’accordo dal titolo definitivo al prestito con opzione per Marc Pubill, oppure ancora si defila perché annusa odore di petrodollari senza dover andare a parare nel campionato saudita come CR7.
O le famiglie Pagliuca & Percassi accontentano i loro top player ritoccando gli ingaggi verso l’altro, a livelli da grande benché non proprio da Galacticos, magari confezionandone di adeguati ai nuovi arrivati sennò tra due anni piangono miseria anche loro, o si mettono a fare le pittime sulle regole. Queste ultime danno ineluttabilmente torto marcio a chi non le rispetta dopo averle firmate, da dipendente della società qual è, e quindi rappresentano l’unico coltello dalla parte del manico stretto in pugno al front office proprietario e dirigenziale.
Il rischio, ovviamente, insieme alla spaccatura totale con conseguente depauperamento tecnico, è di dover vendere gli ex proletari ribelli alla metà tra un anno o anche solo nella finestra invernale per non doverci smenare anche dei soldi. Ma se non se ne ha bisogno come si dice, chi se ne importa? Lo sapevamo fin dall’aforisma di Leo Longanesi che i debiti di riconoscenza si pagano entro le ventiquattro ore con l’antipatia. Teun, El Bilal e Ademola, a fare gli antipaticoni di turno, ci hanno messo qualche tempo di più.
Ma se arrivi a fare la grande da piccola quale sei sempre stata, un po’ devi comportarti come tale. Altrimenti le grandi vere non te la perdonano, figuriamoci se ti vedono come supermercato piombandoti sui piedi con tutto il carello della spessa. Sì, è così, anche se non vi e non ci piace proprio per niente. Che si fa, giunti al bivio? S’imbocca la strada del compromesso o quella del rigore? Noi siamo e saremo sempre per la seconda, ma il cash ce lo mette la Doppia P al potere. Una Doppia P tanto brava quanto buona al punto di volersi giocare la carta del perdono. Noi, pur bergamaschi e cattolici, l’altra guancia col piffero che la porgeremmo al posto loro.