Pierluigi Gollini e Bryan Cristante presi all’istante da Aston Villa e Benfica (via Pescara), Gianluca Mancini e Nicolò Fazzi parcheggiati in prestito al Perugia. Due a titolo temporaneo con diritto di riscatto, l’altro paio a cartellino pieno. L’identikit dei poco più che ventenni catturati dalla tagliola della Bergamo del pallone ne tradisce lo scopo e il significato: portiere già collaudato per coprire le spalle a Berisha, tappabuchi di quel Gagliardini sacrificato subito sull’altare della cassa, centrale difensivo ed esterno tuttofare da lasciare in prova (una e due stagioni) fino a maturazione. Tutti ’95 al netto del granatiere del futuro che ha un anno di meno. La campagna di rafforzamento invernale dell’Atalanta rispecchia quella estiva, perché allora arrivò Andrea Petagna, uno dalle grandi promesse alle spalle di cui il Milan non sapeva più che farsene dopo averlo sballottato qua e là. Una scommessa che è diventata una certezza. La politica, a parte i canterani tornati dalla gavetta per stupire a casa propria, è chiara e cristallina: accalappiare gente dei vivai italiani che nelle big (i due perugini sono passati dalla Fiorentina) non giocherebbe mai, far vedere loro il campo senza l’aiutino del binocolo e valorizzarli.
L’utilità sociale del cambiamento di rotta del front office post Pierpaolo Marino andrebbe premiata con tanto di medaglia al merito, perché è l’intero movimento nazionale a giovarsi del successo della rinuncia ai casi “lessi”, come li chiama Gian Piero Gasperini, ovvero all’usato sicuro spesso d’importazione che poi finisce per sbarrare il passo ai prodotti a chilometro zero. A Zingonia non l’ammetterebbero o lo farebbero a denti stretti, nonostante i rapporti molto amichevoli fra i patron Percassi e Squinzi, ma il calciomercato nerazzurro assomiglia in maniera impressionante a quello, o a quelli, del Sassuolo. Che ai tempi aveva strappato lo juventino onorario Berardi al Cosenza appena sedicenne e, dall’ex atalantino Zaza in avanti, ha consolidato il pescaggio d’altura di adulti nostrani formati altrove non più in età da Primavera. Scorrendo la plantilla neroverde, balza all’occhio la presenza di una pletora di romani e romanisti pronti all’uso che in giallorosso o in qualunque location ai piani alti del football nostrano il posto non l’hanno o non l’avrebbero mai trovato. Ce n’è più d’uno in ogni ruolo, nella rosa agli ordini di Eusebio Di Francesco. Antei, Mazzitelli, Pellegrini e Politano erano già inseriti nel gruppone, a cui si sono aggiunte le recenti acquisizioni del cesenate Stefano Sensi che è il nuovo Verratti, dell’ex sogno bergamasco (in prestito dalla Lupa) di una notte di mezza estate Federico Ricci – compagno in Under 21, insieme a Mazzitelli e Pellegrini, di Gollini, Caldara, Conti, Grassi e Petagna -, del ’93 Iemmello (ex Spezia) ripudiato ai tempi dall’alma mater viola per le fortune di Pro Vercelli e Foggia e dello stesso non più verdissimo (’90) Antonino Ragusa (Cesena), scartina del Genoa passata di sfuggita sotto l’ala protettrice del Gasp che l’aveva definito “piccolo Sculli” e “ronzinante” per antìfrasi a sottolinearne le doti di cavallone della corsia.
Che il responsabile dell’area tecnica atalantina Giovanni Sartori stia abbracciando le stesse strategie del calcio by Mapei, vedi premessa, è innegabile. Le due società vanno ben oltre la regola del quattro più quattro imposte per gli “over 21” della famosa lista dei venticinque (gli under sono in numero libero), ovvero il minimo legale di giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile e in quelli di altre parrocchie dello Stivale. E il Cobra comincia a guardare ancora più in là. Pago del lancio gasperiniano in grande stile del mucchio selvaggio di ragazzi del ’99, tricolori Under 17 uscenti sotto la guida di Massimo Brambilla (Bastoni, Capone, Latte e Melegoni), il dirigente chiamato a costruire il prossimo futuro di una squadra che ha scientemente rinunciato a Villa Arzilla sta dimostrando di voler attingere anche al mare magnum dei Duemila: il portiere Marco Carnesecchi dal Cesena e il centrocampista dell’Hellas Verona Michele Valente, definito un crack dai bene informati che bazzicano l’ambiente. Se son rose, fioriranno. E se anziché attendere le sirene della Premier il superasso Franck Kessie decidesse di approdare alla corte di Spalletti, la contropartita in mezzo ai soldoni sarebbe il centrale dei centrali, il mancino del ’98 Riccardo Marchizza. Giunto a un passo dalla Dea il giorno della scadenza del mercato di riparazione, benché anche i muri del Centro Bortolotti siano disposti a giurare di no.
Simone Fornoni