Zingonia – «M’è bastato un solo incontro con la dirigenza per convincermi. L’Atalanta è una chance importante e ci sono tutti i presupposti per fare bene. Il resto dovrà dirlo il campo». Strani e anzi bizzarri, i destini incrociati del calcio. Gian Piero Gasperini scaccia in un baleno le due salvezze di fila di Edy Reja e la prima scelta rinunciataria Rolando Maran, spinto fra le braccia della Ninfa del pallone da Ivan Juric, ex pupillo e vice in panchina (all’Inter e al Palermo) che ne ha preso il posto al Genoa sulle ali dell’exploit nel neopromosso Crotone. «È normale che una società sondi più soluzioni, ma la fiducia alla fine è ricaduta sul mio nome – spiega il Gasp, uscito dal contratto con Enrico Preziosi, che prevedeva un’altra stagione con opzione per il prolungamento fino al 2018 -. Non c’erano stati approcci precedenti, sono stato contattato solo dopo aver ottenuto il via libera dal mio club. La costante della carriera di un allenatore è andare dove esistono la stima professionale e il gradimento esplicito». Una parola per l’ormai ex patron è d’obbligo: «Ho lavorato con lui complessivamente per otto anni, la scelta di interrompere il rapporto è sua e la rispetto. Visto che dicono che so fare bene solo a Genova, questo sarà un banco di prova per dimostrare il contrario». Sull’organico, nessuna rivoluzione: «Trovo una base ideale da cui partire. Per gli aggiustamenti del caso il calciomercato ci lascia ancora un bel po’ di tempo, i nuovi arrivi saranno concordati con il presidente e i suoi collaboratori». La rivoluzione del modulo, nondimeno, è attesa: «Non sono così integralista come si crede, in un campionato come il nostro c’è bisogno di adattamenti anche nel corso della singola partita e io ne ho sempre adottati. Ovviamente la mia intenzione è riproporre il mio gioco anche a Bergamo. Il mio unico dogma è la difesa a tre, davanti si varia a seconda delle esigenze». 3-4-3 o 3-5-2, insomma. Spettacolo attendesi, dopo anni in tono minore? «Sono io a dover conquistare la gente, vengo qui con molta umiltà. Lascio una piazza dove sono stato apprezzato e adesso non posso non pensare a ripetermi davanti a un pubblico altrettanto esigente e passionale».
Lo scudetto dei nerazzurri poveri è la salvezza, adagio a cui l’uomo nuovo pare adeguarsi: «Ci sono parecchie compagini in lotta per permanenza nella categoria e l’obiettivo minimo è quello, per mirare più in alto servono tempo, crescita e risultati». Tornando a bomba, ovvero ai movimenti in entrata attesi da tutti – Paloschi in primis -, il tecnico torinese è netto: «Quando si ha alle spalle un gruppo consolidato e gente che lavora a trecentosessanta gradi, solitamente si sta tranquilli. Per costruire c’è tutto il tempo del mondo, fino al 31 agosto». Sguardo retrospettivo su una parabola in crescendo ma con un solo picco: «Dopo le giovanili alla Juventus, ho iniziato in C1 a Crotone, quindi il primo periodo al Genoa e l’Inter, la big, sfiorata e lasciata subito. Rimettermi in gioco in Liguria è stata già una bella sfida: vinta, direi. Ora ce n’è un’altra». Pietra tombale sui dubbi di Pinilla: «È un giocatore importante in un ruolo in cui serve continuità, abbiamo lavorato sei mesi insieme (2014/2015, NdR) e non è che non abbia avuto spazio, ma è venuto qui perché ne voleva di più. Non possiamo contare su un solo centravanti: quando rientrerà dalla Copa America ne riparleremo. Storicamente ho avuto a disposizione molti attaccanti di valore, da Milito a Iago Falque a Pavoletti passando per Palacio e Borriello». Voci su Niang: «Uno dei tanti calciatori di livello che ho allenato, ma la parola definitiva sugli acquisti ce l’ha Giovanni Sartori». La solita sfinge, che ripete che fino al 20 giugno quelli del Milan non si trattano e il Palo è attenzionato dall’anno scorso. Non rimane che ragionare sull’hic, sul nunc e sulla stagione che sarà: «Diamanti è a fine prestito e Borriello in scadenza, non so se ci saranno. Nel caso andranno sostituiti. Ritrovo con piacere il Pescara, dove giocai un quinquennio, il Cagliari che sta facendo le cose in grande e il Crotone, la vera sorpresa». Chiosa ridanciana per i mass media: «Leggerò solo le cose positive che scriverete su di me, così quando ci rivediamo non ci guardiamo storto».
CHI È – Gian Piero Gasperini è nato a Grugliasco (Torino) il 26 gennaio 1958. Da giocatore, settore giovanile nella Juventus (una sola presenza in prima squadra, in Coppa Italia) e sedici anni da pro (dal ’77 al ’93) soprattutto in cadetterìa. Sette club: la Reggiana, il Palermo (1978-83), la Cavese, la Pistoiese (C1), il Pescara di Giovanni Galeone da capitano dell’unica salvezza in serie A (1987/88), quindi la Salernitana (retrocessa) e il Vis Pesaro in C1. Un centrocampista al fosforo da 59 presenze e 10 reti in A, 298 e 25 in B. Come tecnico inizia nel vivaio bianconero e vince la Viareggio Cup nel 2003. A Crotone ottiene la promozione in B l’anno seguente (sostituito dall’ex atalantino Andrea Agostinelli a dicembre, torna in carica il 20 aprile del 2005), poi il quadriennio al Genoa (promozione in A, qualificazione all’Europa League nel 2009, esonero l’8 novembre 2010 a favore di Davide Ballardini), l’Inter con 4 ko e 1 pari tra campionato, Champions e Supercoppa Italiana (persa dal Milan), il Palermo (firma il 16 settembre 2012 al posto di Beppe Sannino, esonero il 4 febbraio 2013 dopo l’1-2 casalingo con l’Atalanta, ritorno in sostituzione di Alberto Malesani venti giorni più tardi, rescissione l’11 marzo) e di nuovo il Grifone, ereditato da Fabio Liverani il 29 settembre di tre anni fa. In rossoblù, una delusione: la mancata partecipazione all’ultima Europa League perché alla società non viene concessa la licenza Uefa. Come collaboratori porta in dote il vice Tullio Gritti e i preparatori atletici Domenico Borelli e Luca Trucchi (che si aggiungono ad Andrea Riboli e al recuperatore degli infortunati Francesco Vaccariello): dello staff di Reja e Bollini restano anche l’allenatore dei portieri Massimo Biffi e il collaboratore tecnico Mauro Fumagalli.
Simone Fornoni