di Matteo Bonfanti

Due piccole storie ignobili, una strettamente personale, l’altra di dominio pubblico, mi hanno fatto ripensare a una discussione avuta con mio padre, Marco, tanti anni fa, all’inizio della crisi economica in Italia. Mio papà, una delle menti più brillanti della sua generazione, autore per il nostro giornale della seguitissima rubrica “Figuroni in Serie D”, ha sempre sostenuto che il male nazionale, quello che ci ha fatto sprofondare, sia l’ingordigia della nostra classe dirigente. Diversamente che in Germania, ai nostri ricchi il denaro non basta mai. Ne vogliono sempre di più e solo per loro. Da qui i contratti a termine, la delocalizzazione (“metto i miei operai in cassa integrazione che me la paga lo Stato e costruisco in Polonia che lì gli operai mi costano la metà”) e/o lo spostamento della sede legale per non pagare le tasse per poi lamentarsi di scuola e sanità pubblica.
Di quel che è capitato a me ne parlerò tra un po’, oggi parlo di altri capitani d’azienda, che hanno anche una squadra in Serie A e che, quando si trovano tutti insieme a chiacchierare, formano l’assemblea della Lega Calcio. Questa mattina ho letto sulla Gazzetta dello Sport, il mio personalissimo vangelo, la ricostruzione del salvataggio del Parma. Riassumendo: il club ducale non ha più un soldo perché il suo ex presidente ne ha dati troppi ai suoi giocatori. Che ora non li prendono più e quindi hanno deciso di non scendere in campo la domenica. Ed è un casino soprattutto per Sky che a inizio stagione ha pagato la Serie A (e si è fatta dare i soldi dai suoi abbonati e da chi fa la pubblicità) per far vedere le gare di Lucarelli e compagni.  Come la risolvono i nostri presidenti? Decidono di utilizzare il fondo, cinque milioni, raccolto dalle multe settimanali ai vari club (soprattutto per le intemperanze dei propri tifosi), denari che sarebbero serviti a finanziare opere di bene e che nel giro di un pomeriggio cambiano immediatamente destinazione senza che nessuno si faccia il minimo problema di coscienza.
Detta così è molto tecnica e quindi assai incomprensibile. Quindi spiego quanto è accaduto con due esempi alla portata di qualunque italiano, immaginando che ci prenda a tutti la “leghite” e ognuno di noi inizi a comportarsi come i vertici del nostro pallone. Partiamo dalla beneficienza. Secoli fa ho adottato un bimbino negro a distanza, da oggi quei soldi li verso direttamente sul conto corrente di Lapo Elkann, milionario proprio come la gran parte dei calciatori della formazione emiliana. Dal canto suo Lapo s’impegna a finire ogni settimana sulle principali riviste di gossip, mettendo in scena per me e per i miei famigliari una nuova storia d’amore. Ossia regalandoci una farsa. Come sarà Parma-Atalanta, una sfida assai anomala.
Perché gli avversari dei nerazzurri vengono pagati (quantomeno in parte) dallo stesso Percassi che non vuole assolutamente e giustamente che l’Atalanta finisca in B. Fossi il trequartista dei crociati come mi comporterei? Darei il massimo per regalare un dispiacere a chi mi sta aiutando economicamente? La risposta la sapete già.
Anche qui c’è un esempio vicino vicino che ci fa capire l’assurdità  del salvataggio del Parma. Bergamo & Sport, il giornale di cui sono il direttore, ha in edicola diversi concorrenti. Poniamo che uno di loro, magari Sprint e Sport, che influisce parecchio sulla vendita delle nostre copie, andasse in crisi e smettesse di pagare gli stipendi ai giornalisti. Cosa succederebbe? Fossimo come Lotito e i suoi amici, io e gli altri direttori (Gandola dell’Eco, la Del Castello di Bergamonews e Ongis di Bergamo Post) ci metteremmo d’impegno per trovare i soldi necessari a mantenere in vita un nostro competitor. I nostri dipendenti ci direbbero che siamo matti. E avrebbero ragione.