Non me ne voglia il mio adorabile ragazzo, Zeno, dolce come un cuore di panna, grande, come mi sentivo io alla sua età, ma che continua a far finta di essere piccolo per rendere felici tutti noi che gli stiamo attorno. Da ieri sera siamo in bega dura e non c’è accaduto mai e ne parlo pubblicamente per capire un po’ chi ha ragione, perché poi la sofferenza è solo mia, figlia di quanto ho vissuto e di ogni riga che ho letto negli ultimi dieci anni sui giornali italiani e del mondo.
Racconto i fatti e poi dico quello che ho scelto di fare. Ieri all’ora di pranzo io e Zeno andiamo a ritirare il suo regalo di Santa Lucia in un negozio del centro. E’ incartato, costa sessanta euro e per ritirarlo c’è bisogno di un maggiorenne, appunto io. Ma sono tra mille pensieri e non mi si accende nessuna spia rossa. Me ne fotto senza pensare minimamente a cosa sto mettendo tra le mani del mio giovane uomo che diciotto anni non li ha. Del resto di Zeno, che fa la seconda media senza aver mai creato un problema che sia uno, mi fido ciecamente. Ringrazio la commessa, carina e gentilissima, lei fa altrettanto. Usciamo, do la mano a Ze e torniamo alla macchina. E la cosa si ferma lì.
Mezzoretta dopo io, Vini e Ze siamo in viaggio sulla Pandona Aranciona a Metano verso i nonni, gli adorati Ernesto, Valeria, Marco e Angela. E Zeno apre il suo acquisto ed è una spadona in acciaio di un metro e passa, uguale uguale a quella di Goemon, il socio bello di Lupin. La vedo dallo specchietto e inizia a salirmi l’ansia. Mi meno via nei miei viaggi, tre scenari in particolare. Il primo è che i miei due figli, che non fanno le famose risse in centro, ma che se le vedono su tic toc, inizino a tagliuzzarsi con i loro amici con quell’arma, il secondo è che arrivi un tipo a casa, anche bravo, tipo Alfredo coi calendari l’altro ieri mattina, e trovi la sciabola sul divano, e così, per darmi una dimostrazione di saperne, si metta a fare il ninja, ma gli parta l’aggeggio verso di me e mi decapiti all’istante, il terzo, il più probabile, è che io, che sono un sacco imbranato, mettendola nell’armadio, mi tagli per sbaglio, rimanendo senza un braccio e, quindi, nell’impossibilità di giocare la famosa finale di Wimbledon contro Federer.
Resto così, con quei pensieri, poi di sera passiamo tra i vari parenti e me ne dimentico abbastanza. A casa la rivedo, mi risale l’angoscia, trovo un momento e glielo dico: “Oh, Ze, io l’arma in casa non la voglio. Metti che litigate tanto tanto tu e tuo fratello, metti che arriva un malintenzionato, che casa nostra è sempre aperta… Facciamo che domani gliela riportiamo. Mi spaventa a bestia, mi mette un botto l’ansia”. E Vinicio, il mio grande, della stessa mia idea, anche lui a menarla al nostro giovane congiunto. E lui, Zeno, accerchiato, a farci il suo bel ragionamentino per tenersela appresso: “Allora anche le sigarette, che da un momento all’altro potresti prendere il tumore ai polmoni. E i coltelli e le forchette e pure i cucchiaini, che, se li infili in un occhio, finisce che muori d’un colpo”. E, convitino, va a prendermi il pacchetto di Marlboro nella tasca della mia giacca, poi apre il primo cassetto della cucina e tira su le quattro posate in croce che abbiamo, dirigendosi verso il cortile, a buttare via tutto, insieme alla sua sua spada da Goemon.
Lo fermo, cerco di farlo ragionare. Gli propongo di mettere lo spadone sul soffitto, in alto, con quattro chiodi, distante da noi, dove possono prenderla solo i giocatori di basket, quelli super giganti, dell’Nba, che stanno in America e quindi il rischio, quello che arrivino ad affettarci, è minimo. Mi rimanda a cagare, ma mi ridà le sigarette e rimette a posto le posate. Poi va a letto, rimandando la decisione sull’arma al giorno successivo, cioè oggi, cioè tra un paio d’ore.
Bene bene non sto. Lo ammetto, sono abbastanza in difficoltà, perché lo spadone mi terrorizza a morte, ma Ze è un bravo tipo. Resta che penso che le armi sono assurde e non si dovrebbero vendere. Bisognerebbe proibirle, che ce la menano sull’erba, destra, sinistra, centro, leghisti, bibbitari, covidisti, negazionisti e terrapiattisti, miliardi di leggi assurde da quando sono ragazzo, per limitare l’uso di qualcosa che ti fa solo desiderare di abbracciare e coccolare tanto tanto chi ami, invece lasciano che un pistolino, va detto con un padre abbastanza in aria, comperi una sciabola affillata in stile Jihad. Magari sono scemo, che c’è un botto di gente che conosco che tiene una pistola a casa, ma il mio ragionamento è semplice semplice e pure perfettamente logico: togliessero le armi dal commercio, ci sarebbe molta meno gente ammazzata. Al massimo due scapaccioni, quelli che si sono dati il Gasp e il Papu, che comunque fanno un sacco male al cuore, persino a quelli dei tifosi, ma che non accoppano nessuno.
Chiudo dicendo che io sono qui in redazione e a casa stanno tutti bene, interi. Al momento nessuno si è fatto a pezzetti. Finita l’Atalanta, che stravince senza Gomez (e che golasso Ilicic), e l’Agnelli Olimpia, che fa sfracelli ogni domenica, torno e quella cazzo di spada gliela butto. Non nell’umido, che poi il sindaco Gori mi dà la multa, ma nel sacco bianco, l’indifferenziato, che va a Montello e lo tritano di brutto e non se ne sa più nulla.
Matteo Bonfanti