di Evro Carosi

“E’ forte la notte! accadono un mucchio di cose”. Questo il mio pensiero in gioventù. Invecchiando mi convinsi del contrario e così cominciai ad andare  a letto presto. Poi, mentre dormivo, magari capitava di tutto. Questa notte, non perché proprio quella giusta, ho pensato: “Voglio  vedere che succede”. E allora, dopo che gli amici  se ne sono andati a casa, assonnati e pronti a vivere il solito domani, resto qui insieme a voi. Insieme a chi questa notte la vuole vivere fino in fondo.
Certo, uno pensa  sia difficile godersela da solo. E, in effetti, sembrava impossibile anche a me, fino a quando, con l’aiuto della luna, uno inizia a pensare  a tutte le cose che ha fatto, a quelle che non ha fatto ma che avrebbe potuto fare, e capisce di non esser solo, perché in  tanti, in questa notte d’estate, pensiamo le  stesse cose.
Alle tre l’aria frizza anche a luglio – non perché fa caldo si può far finta di niente.
Potremmo  cominciare da un amore impossibile. Una di quelle storie che finiscono  come Casablanca  e mai come Pretty woman. No. Non  crediate che io  mi tiri indietro se si tratta d’affrontare un simile argomento. Ho solo un problema: ho finito le sigarette. Si, perché se le avessi  tutto risulterebbe più facile. Qualcuno potrebbe dire:  “Ma che problema è?”, e non avrebbe torto. Anzi, no. Uno che parla così non capisce proprio un cazzo, perché una sigaretta serve, eccome. Ma si … dai, tanto di notte puoi anche pensare ad alta voce, nessuno ti ascolta.
Comunque  questa notte è bellissima  e non è il caso di creare casini. Stavolta ce la godiamo così,  senza troppe balle, e se volete che ve la racconti giusta, tornate un’altra volta. Tornate quando il mio pacchetto di sigarette sarà pieno. E non scordatevi di portare un po’ di  rum, magari venezuelano.
Fossi stato io a doverla raccontare  e se la storia fosse stata una storia qualsiasi, me la sarei cavata così. Invece Giuseppe la sua storia non la raccontò mai.
Erano gli anni settanta, i Beatles avevano da poco divorziato e Battisti si sarebbe volentieri privato di una motocicletta cromata per un ‘si’. Ogni mattina Giuseppe vedeva passare Alba davanti alla sua officina. Il ragazzo riparava automobili  con il padre e lei frequentava l’università. Non la conosceva. Gli piaceva tanto da perdere il sonno. Il giovane, per niente timido, non era certo un pivello. Era bello e ci sapeva fare. Ma come avvicinare una ragazza tanto curata con la faccia sporca di nero e le mani rovinate dagli attrezzi?  Giuseppe era convinto che se le avessero chiesto  dove si trovava l’officina Barzaghi, lei non avrebbe saputo rispondere, tanto tirava diritto sicura. Quando Alba passava, il cuore di Giuseppe si ribellava alla sorte come un leone in gabbia.
Provò a farsi notare . Musica di autoradio a palla, riparazioni fatte  all’esterno anche sottozero. Nulla da fare.
Finse di scambiarla per una cliente, ma come risposta ricevette un semplice sorriso di circostanza. Semplice lo dico io, perché per il piccolo meccanico fu come restare appeso per qualche ora ai fili dell’alta tensione.
Il padre che da tempo aveva notato  il suo turbamento, provò con discrezione a farlo parlare nell’intento di capire chi si fosse appropriato del suo cervello. “Come va con le ragazze, ne hai una fissa?”. Giuseppe si fece ripetere più volte la stessa domanda prima di rispondere. “No. Fissa no”. Ammise però d’essere innamorato. “Ma lei chi è? La conosco?”.
“No, papà!”. Il giovane stava già male di suo. Avrebbe fatto soffrire anche il  padre se gli avesse confidato d’amare qualcuno che avrebbe potuto non ricambiarlo a causa della sua umile condizione. Alzò il volume della radio così forte da costringerlo a tacere.
Alba era bella, colta ed elegante, la sua era una famiglia facoltosa. Giuseppe avrebbe voluto continuare gli studi, ma appena terminata la scuola media fu costretto ad andare a lavorare con il padre. I debiti erano molti e due braccia in più  avrebbero dato una mano a pagare le cambiali. Questo non gli impedì di sognare. Alba era la sua folle speranza. Le avrebbe donato l’impossibile. Gli sarebbe bastato essere la sua ombra. In tutte le cose, luci, colori o profumi che in natura paiono fondersi, riconosceva se stesso ed Alba.
Comprò un abito nuovo e s’appostò davanti alla scuola con alcuni libri recuperati da una vecchia zia. Finse ignobilmente di frequentare i corsi Universitari, all’epoca riservati a chi se lo poteva permettere. Per qualche giorno arrivò tardi in officina, adducendo sempre una scusa diversa.
Aveva studiato mille strategie, per ognuna delle quali aveva pronta una mossa di riserva, ma ogni volta, come un generale che conosce la debolezza del proprio esercito, rimandava l’attacco al giorno successivo.
Passarono le settimane e una bella mattina Alba gli si fermò vicino per raccogliere un quaderno cadutole, forse per caso. Occasione imperdibile. Proprio quando la disperazione lo spinse a raccogliere quel quaderno, Giuseppe si sentì chiamare da lontano. Era suo nonno che, nonostante il travestimento, lo riconobbe. Sorridente come al solito, si stava avvicinando a lui, malvestito come tutti i pensionati  che, per necessità, ancora svolgono qualche lavoretto, in sella ad una vecchia bicicletta sgangherata. Giuseppe finse di non conoscerlo e voltò il capo. Il nonno se ne andò senza fiatare. Il giovane si sentì una merda.
Uscito dal delirio regalò l’abito ad un amico e non si affacciò più dal portone per vedere Alba. Soffrì con dignità cercando di dominare quella passione per molto tempo. Qualche anno dopo trovò l’anima gemella. Ora ha una bella famiglia e ha finito di pagare l’officina. La prima figlia si chiama Alba, come il nome di fantasia che diede alla sua regina della quale conserva ancora una foto appesa nel suo cuore  più segreto.
Alba lavora nello studio lasciatole dal padre. E’ felicemente sposata, adora il marito ancor più dei figli. Si può dire abbia trovato l’uomo che  aspettava. Riceve mille coccole. Si sveglia ogni mattina in compagnia della più sana spensieratezza. Dopo tanti anni ci fa ascoltare un sospiro pesante solo quando ricorda il grigio portone  dell’officina Barzaghi. Pensa ad un tenero meccanico con la tuta sporca di nero, che ogni mattina le stava vicino accompagnando il suo passo da lontano. Più volte si nascose per vederlo sorridere e ballare con un cacciavite in mano. Immagini con le quali tuttora ama appartarsi.
Oggi i due si vedono spesso, senza saperlo, quando portano i nipoti al parco giochi. Su di loro il tempo si è preso qualche soddisfazione. Impossibile riconoscersi. Un saluto educato, qualche frase sui piccoli che giocano. Non si sono ancora presentati. Lisa, così Alba si chiama davvero, di quell’uomo che segretamente sognava, non conosce neppure il nome. Glielo diciamo noi, si chiamava Giuseppe.
Continua…