Un’avventura durata una vita. Col caldo, il freddo, la nebbia, su campi d’erba e ultimamente in sintetico, magari sotto acqua a secchiate. La vicinanza alla sua Olfez, quella del calcio amatoriale mai abbandonato nemmeno dopo aver smesso ventiquattrenne con le categorie FIGC, non manca mai: “Però non posso esserle più utile in campo. E mi sconsola anche aver dovuto dire basta a quel divertimento che solo il pallone e il fare parte di una squadra sono in grado di darti”. Ottone Mesti ha lasciato il calcio giocato per sempre laddove l’aveva abbracciato la prima volta: “La data ufficiale è il 7 febbraio di quest’anno, a quarantadue di distanza dall’esordio nel calcio a undici alla Celadina, dove abitavo da bambino. Avevo otto anni – ci racconta il direttore operativo del Villa Valle -. E alla Celadina ho dato l’addio alla palla tra i piedi: la cartilagine delle ginocchia non esiste più, il destro del primo infortunio è ammaccato dall’età di diciassette anni e aver forzato sul sinistro ha fatto il resto. Per la prima volta in vita mia, ho obbedito agli ordini del medico: se vuoi continuare a camminare, dacci un taglio, mi ha detto. Ed eccomi qui. In borghese, senza maglia e calzoncini”.

Col simpaticissimo Otto al guinzaglio, un bulldog che travolge d’affetto gli ormai ex compagni del club espressione del Giambarini Group nella Over 40 provinciale, nonché in tribuna sul campo dell’Excelsior la moglie e la figlia di Matteo Goldaniga facente funzione d’allenatore, il dirigente del nostro calcio, che in serie D si sta togliendo parecchie soddisfazioni, parla da ex ma pure da appassionato. “Ho giocato poco nelle categorie, Celadina, Pedrengo e IPA Seriate. Peccato, avevo e ho i piedi buoni, anche se negli ultimi anni giocavo con una specie di cingolato al posto dell’articolazione. Poi ho pure allenato e con grande soddisfazione, specie a livello giovanile: dagli inizi alla Scuola Calcio di Pierluigi Pizzaballa al Brusaporto col povero Rino Di Costanzo, passando da Alzano Virescit, Frassati Ranica e Mozzo. Una gran bella avventura, senza mai rinunciare a giocare a livello amatoriale, pure a cinque”.

Ultima impresa da dirigente, la doppia scalata del Ranica, capitolo chiuso quando gli s’è aperto quello dei Vyll Boys giallorossi. Ma è un Mesti davvero mesto, quello che ti annuncia su due piedi che da qui in avanti potrà fare solo lo spettatore non pagante. E la doverosa, spontanea empatia rende mogio anche chi se ne annota il racconto: “Questo è un mondo da cui non si esce, anche se non si gioca più. In fin dei conti sono il Roberto Spagnolo del Villa Valle. Eh, ma che gran gol Salvatore Racchiusa! Scusa, ora ti lascio ai tuoi appunti, devi pur seguire la partita…”. Tra i ricordi e il presente, c’è una Olfez da sostenere e tifare. Perché da via Frizzoni a viale Giulio Cesare è una passeggiata di salute anche per quel tornado di Otto: “Io ho un debole per il football, lui per il gelato. A ciascuno il suo”.
Simone Fornoni