Io amo il calcio perché per lavoro scrivo. E scrivere mi fa impazzire sempre, ma un pochino di più le volte che incontro sulla mia strada storie bellissime, che ribaltano il mondo nel segno della speranza, che è quando c’è la fantasia al potere e tutto può succedere, far diventare il ricco povero e viceversa, trasformare un ragazzino ai margini della ferrovia in una stella di Broadway. Di vicende meravigliose ne conosco a centinaia, l’ultima l’ho scoperta poche ore fa mentre un’Atalanta bloccata sullo 0-0 non riusciva a trovare a Bologna la via del gol. Ci ha pensato un ragazzino che io non avevo visto mai. Ero in redazione, a impaginare partite su partite dei dilettanti, ho alzato la testa dal computer e sono rimasto a bocca aperta: stop a seguire e mancino imparabile diretto nell’angolino, azione perfetta, volando sulle punte come solo i campioni e in un paio di secondi, insomma alla velocità della luce. Mi ha ricordato un golasso visto fare in non so quale finale da Drogba, un idolo degli anni miei, che i giovani collaboratori del nostro giornale manco sanno se sia stato un calciatore o un capo ultrà di chissà quale squadra inglese.
Ma in questo articolo non c’entro io e neppure i miei baby colleghi, il protagonista è chi l’ha messa ieri intorno alle 22 e 25, di soppiatto e senza che nessuno di noi sapesse da dove fosse arrivato. Ovviamente ci siamo subito informati, guardando la tracciatura in rete che hanno tutti i giocatori che arrivano a giocare in Serie A. Ed ecco cosa è uscito, Moustapha Cisse, classe 2003, orfano di padre, fuggito dalla Guinea, un Paese in guerra, finito nelle giovanili dell’Atalanta dopo una prima esperienza calcistica in Italia, nel Salento, nella squadra dei rifugiati, la Rinascita Refugees, in Seconda, categoria dove da vecchietto ho giocato pure io, ovviamente con risultati diversi perché sono una pippozza, quindi senza che mi notasse nessuno scout nerazzurro.
Va beh, torniamo a Moustapha: questo ragazzino entra in campo al mitico Dall’Ara di Bologna al 20° del secondo tempo, come una sorta di carta della disperazione calcistica giocata dal Gasp, un mostro sacro del pallone, il Maestro, quattordici minuti dopo il giovane africano fa il numero della vita, cambiando le nostre esistenze, ma soprattutto la sua che da domani non sarà più quella di una persona ai margini, ma di un uomo di cui ci innamoreremo perdutamente, che metteremo sempre al centro della scena, pagandolo e coccolandolo perché continui a fare ciò che più gli piace fare, ossia lo stop a seguire e la bordata nell’angolino.
Fossi un bravo giornalista, ora saprei infilare mille frasi da retorica nazionalcattocomunistapopolare, mi limito invece a un Dio c’è e sta a Zingonia, il posto dove ogni sogno può diventare realtà e anche un rifugiato disperato, pescato in Seconda categoria, può diventare l’idolo delle masse bergamasche.
Matteo Bonfanti
lunedì 21 Marzo 2022