di Daniele Mayer

Qualche giorno fa il nostro direttore ha provato a capire la motivazione del fallimento dell’Italia ai Mondiali e del movimento italiano in generale. Secondo lui la causa principale è la mancanza di fantasia, dei fantasisti, i cosiddetti numeri 10. Bergamo & Sport si è allora messo di impegno per cercare qualche giovane talentuoso numero 10 che bazzica nei campi bergamaschi e che ha davvero il potenziale per poter “arrivare”. Abbiamo quindi intervistato  Mino Favini, storico responsabile del settore giovanile atalantino, che, ovviamente, non fa alcun nome e cognome per evitare di creare bagarre o inutili pressioni al ragazzo ma dice: “Di ragazzi che arriverrano in Serie A ce ne sono di sicuro, ma per il momento bisogna avere pazienza. I settori giovanili sono in difficoltà con i giovani, che sono sicuramente diversi dai ragazzi di 20 o 30 anni fa. Una volta era più semplice arrivare in Serie A, sia perché le frontiere di mercato non erano vaste come lo sono oggi e sia perché i giovani di oggi fanno più difficoltà a maturare. Negli ultimi anni però chi gestisce i vari settori giovanili  ha fatto scelte ben precise, condivisibili o meno, che oggi stanno portando i loro frutti ovvero, si è abbandonato l’addestramento tecnico per privilegiare la struttura fisica e atletica. Lo sappiamo tutti che nei settori giovanili si preferisce chi è più impostato fisicamente a dispetto di chi non lo è. E spesso, sono proprio i brevilinei ad avere maggior talento e maggior classe. E spesso sono i primi ad essere rimandati a casa. Non è solo una questione di atletismo, oggi ci si è anche impuntati sulla tattica. La tattica dovrebbe essere solo la definizione del ruolo mentre oggi è diventata il 90% di ciò che si svolge in allenamento. Questo alla lunga può rivelarsi controproducente, come del resto abbiamo visto al Mondiale e in generale nelle competizioni dove sono impegnate squadre italiane. Oggi, purtroppo, la tecnica dei ragazzi non è più frutto di selezione, mentre secondo me si dovrebbero giudicare maggiormente le qualità e le attitudini di un ragazzo con il pallone, non solo la tenuta fisica e atletica”.  Alla domanda di quando, secondo lui, il calcio italiano tornerà ai fasti di un tempo risponde così: “Solitamente si ritorna a situazioni positive dopo cicli di 5 anni. Siamo sicuramente in difficoltà non tanto per il fallimento della Nazionale, quanto per la seria mancanza di giovani calciatori italiani in Serie A. Sicuramente ci sono degli importanti cambiamenti da compiere e sicuramente c’è qualcosa da rivoluzionare a partire proprio dai settori giovanili”. È tempo di rimboccarsi le maniche e magari di togliere qualche paletto di troppo. Fenomeni sopra il metro e ottanta non se ne sono ancora visti, perché ostinarci proprio noi italiani a puntare solo sui giocatori fisicati?