Si chiude con questa puntata la rubrica esclusiva di mister Alessio Pala per Bergamo & Sport. Il tecnico stavolta si rivolge ai colleghi che si ritrovano ad allenare i ragazzi di 8-9-10 anni. Buona lettura!
“Ecco partendo dal tetto siamo arrivati alla base, là dove nascono i primi gruppi di ragazzi che intendono o provano ad iniziare un percorso calcistico. Si potrebbero inserire anche ragazzini di 6-7 anni, ma devono essere i più portati e con attitudini naturali per lo sport del calcio. Non ho mai allenato ragazzi di questa età, sporadicamente in qualche scuola calcio, l’unica esperienza e’ quella fatta al mio paese quando si mise insieme un gruppo di ragazzi che comprendevano però più annate. L’altra esperienza e’ stata visionando l’operato del maestro Bonifacio al campo militare di Bergamo e ascoltando le esperienze dei suoi collaboratori. Si tratta anche in questa fascia di distinguere la selezione per gruppi di livello professionistico da quella che si attua in ambito dilettantistico. A prescindere dal livello, bisogna avere un occhio (arte) e un istinto particolare, una predisposizione naturale nell’osservazione e nelle scelte prima ancora del semplice addestramento. Il primo concetto è quindi l’attitudine naturale che può avere il bambino nel rapporto con la palla. E’ madre natura che lo indica, così come una discreta predisposizione fisica, oltre ad un innato interesse. Semplificando, ci si immedesima nell’essere responsabile a fare nascere un gruppo di bambini nella scuola calcio in una società dilettantistica del nostro territorio in un comune di circa 5000 abitanti. Sono contrario a tutti gli stage estivi (che fanno tante società) perché lo scopo è solo di natura economica e non calcistica, così come il fatto di accogliere tutti quelli che vogliono iscriversi. Tutti i ragazzi hanno il diritto di fare sport e di giocare a calcio, ma da subito ci si accorge chi è portato e chi no. Quelli meno portati lo possono fare all’oratorio o al Csi. Altrimenti diventa tempo perso per le società e per gli istruttori. Già così, anche se a livello normale, si opera una piccola selezione. Anziché avere a disposizione 25-30 ragazzi e’ meglio partire con 12-13 più predisposti e completare poi i gruppi sia numericamente che qualitativamente. Il gesto tecnico “nasce” quando si ha un contatto con il pallone. Ecco, nell’addestramento individuale tutto con la palla, in modo anche libero e piano piano insegnare i primi fondamentali, accettando qualsiasi errore (normale) e poi dimostrarlo in modo corretto. I ragazzi imparano per imitazione. Fondamentale qualsiasi tipo di esercitazione, tecnica e di mobilità articolare. Ritengo importantissima la mobilità della caviglia, tappa fondamentale per costruire il gesto tecnico. L’insegnamento delle abilità, le finte, il dribbling, i cambi di senso e direzione, l’utilizzo degli arti superiori, e il contatto palla/testa facendo vincere loro la paura del gesto. Tante partitelle, libere, senza vincoli, anche se l’occupazione degli spazi sarà intasata. Di solito il ragazzo più abile avrà sempre o spesso la palla, gli altri cercheranno di contrastarlo, si intravede quindi già il carattere e la personalità. Parlare poco (non ascoltano più di 5 minuti) ma farli sprigionare in modo naturale tutto il loro bagaglio tecnico e agonistico. Per farli divertire spesso si usano dei giochi (lo sparviero, l’attacco al castello, ecc), ci può stare ma non condivido pienamente. Non dico di essere specifici, ma almeno un minimo di terminologia appropriata sì, tanto dopo due anni sentiranno parlare di altro e non di attacco al castello!!! Giocare magari rotolando, con capriole, con funicelle o elastici, cercando anche di coordinare e muovere gli arti superiori in modo corretto. Sarà un caso ma quel gruppo che ebbi al mio paese (io ero ancora giocatore) ha continuato per anni a giocare, tutti arrivarono in prima squadra e alcuni andarono in categorie superiori. Non erano particolarmente dotati, ma avevano una grande motivazione, avevano interesse e soprattutto una gran voglia di imparare. Spesso mi sono fermato ad osservare dei cavalli mentre galoppano, usano gli arti in modo armonioso e sincronizzato, uno spettacolo. In più non ho mai visto (a parte i pony) uno di loro con la caviglia ‘grossa’, o meglio con i tendini e i muscoli che si inseriscono nella stessa troppo pronunciati. Anche questo potrebbe essere un piccolo indice di selezione fisica. Così come già nei bambini si osserva se sono portati allo sport del calcio o per altre attività. Grazie ai social siamo diventati meno pensatori e più copioni, usandoli anche nell’insegnamento ai piccoli calciatori (scienza) dimenticando l’arte del farsi capire in modo naturale. Ecco allora che si può percorrere la strada inversa, rovesciando l’insegnamento, almeno ogni tanto, quindi fare ragionare e sperimentare i bambini, anche se sbagliano, e da lì correggerli ed educarli allo sport del calcio, che è atipico, fantasioso, imprevedibile, ricco di variabili non sempre preventivate. Quando si propongono esercitazioni troppo codificate i ragazzi se la cavano con un ‘ like’ o con un pollice inverso, mentre se li facciamo ragionare loro si devono togliere dal mare fermo dei ‘si’ dei ‘no’ dei ‘ certo’ e si fanno una tempesta di domande che cercano risposte. Le risposte le devono dare gli istruttori in modo corretto e comprensibile”.
In fede, Alessio Pala