Personalmente ho mille dubbi soprattutto su due questioni, la prima riguarda la pericolosità di una ripartenza del pallone mentre in Italia ci sono ancora dei contagi, la seconda è sull’attuazione di un protocollo che è il solito immenso casino all’italiana. Resta, comunque, che penso che il calcio provinciale debba ripartire nei giorni fissati, quelli tra la metà e la fine di settembre.
Chi mi legge dirà che scopro l’acqua calda, ma mi piace ricordarlo a tutti i miei lettori. Innanzitutto mai come ora abbiamo bisogno di tornare in campo per ricominciare a sorridere dopo questi mesi tragici e storici, impossibili da scordare. Serve ai ragazzi delle prime squadre, che dalla Serie D alla Terza fanno sacrifici su sacrifici per esserci ogni maledetta domenica, che vivono il calcio sia come il loro massimo impegno, che come uno dei pochi momenti di assoluto svago delle loro vite. Ma non ci sono solo i grandi. Ritengo che sia fondamentale anche riprendere l’attività dei settori giovanili perché, oltre che divertentissimo, il calcio è uno dei pochissimi sport che è riuscito a conservare un carattere totalmente popolare. Al netto delle annuali polemiche sulle quote d’iscrizione richieste alle famiglie dai nostri club, pure nel peggiore dei casi mandare il proprio figlio a giocare a pallone costa qualcosa come dieci euro la settimana, il basket il triplo, la pallanuoto cinque volte di più, il tennis sette, lo sci quindici.
Proprio per questo suo carattere, unico in un’Italia dove ogni scelta è sempre legata al guadagno, il calcio di provincia insegna valori che sono necessari se il nostro intento è quello di costruire un Paese migliore. Nonostante rarissimi casi, qui da noi gioca il migliore, quello più bravo, che è quasi sempre lo stesso che s’impegna di più tirando il gruppo, lo spogliatoio porta legami unici e indissolubili, insegnando un valore straordinario come la solidarietà, che è aiutare il compagno in difficoltà nel campo come nella vita. E poi si ride tantissimo, qualcosa che rende giganti le cose belle che capitano e piccole piccole quelle brutte.
Detto che il calcio, così come la scuola, sono fondamentali, penso che in entrambi i casi il nodo della questione sia legato ai tamponi. Più se ne faranno, più si giocherà in totale sicurezza. Ed è proprio qui che intravedo il problema maggiore. Dopo avere raccontato come faranno le nostre società ricche, ossia il test privato che ha un costo singolo intorno ai 150 euro, mi chiedo come possano fare i nostri club minori, una miriade nella Bergamasca, che sono fondati sul volontariato dei propri immensi dirigenti, che non hanno migliaia di euro da buttare nel piatto, ma due cose ben più importanti, il loro prezioso tempo e la loro immensa passione.
In caso di atleta con sintomi, per evitare nuovi e pericolosissimi focolai, in Prima, in Seconda e in Terza bisognerà affidarsi al pubblico, che è il servizio sanitario della nostra Regione. Qualche giorno fa, su direttiva proprio dei vertici del Pirellone, qui vicino, all’ospedale di Treviglio, sono stati fatti gratuitamente i tamponi a chi è rientrato dalla Croazia, da Malta, dalla Spagna e dalla Grecia. Sistema molto semplice, prenotazione on line ed esito entro quarantotto ore.
Lancio una proposta perché penso che sia questa la strada che va seguita anche per il nostro pallone che, mi ricollego a quanto scritto prima, ha un immenso valore sociale per una larga fetta della nostra società, soprattutto a Bergamo. Bisogna ripartire, è necessario, ma occorre farlo senza rischi. Vorrei che i nostri politici, in questo caso i nostri amministratori regionali, facessero un passo in avanti mettendo a disposizione dei nostri club tutti i tamponi di cui hanno bisogno, sul modello di quelli che si stanno facendo a Treviglio, tanti, gratuiti e dall’esito immediato. Sarà una grossa spesa? Saranno soldi spesi bene.
Matteo Bonfanti